Il falso culinario tra ricette tradite e frodi alimentari
Su 530 segnalazioni di veri e propri «falsi culinari» ben 360, oltre il 70%, giungono dall'Italia
MILANO - Si inizia con le «ricette tradite», prodotti «barbari» ma permessi dalla legge, come l'aceto balsamico di Modena preparato all'estero con il caramello o la breasola ottenuta da carne di zebù invece che di mucca nazionale, e si finisce con le vere e proprie truffe come la mozzarella di bufala fatta con latte di mucca colombiano e romeno sbiancato con calce e soda o le terfezie (dei funghi ascomiceti lontane parenti dei tartufi, ndr) profumate con i derivati del petrolio e vendute, a caro prezzo, per i più nobili tuberi.
E' quello che l'Accademia italiana della cucina bolla come «falso culinario», un attentato al gusto o, peggio, alla salute di chi al ristorante ordina un piatto e ne ottiene un altro benché abbia lo stesso nome, sia perché realizzato con una ricetta che nulla a che vedere con la tradizione sia perché frutto di una vera e propria frode alimentare. Un fenomeno in grande espansione, non solo all'estero ma anche nel nostro Paese. Infatti su 530 segnalazioni di veri e propri «falsi culinari» ben 360, oltre il 70%, giungono dall'Italia: è quanto emerge da una ricerca realizzata, e presentata oggi a Milano, dall'Accademia che, attraverso le sue 290 delegazioni presenti in tutto il mondo ha monitorato la ristorazione italiana e internazionale con l'obiettivo di verificare l'effettiva congruenza delle ricette presentate dai menu dei ristoranti con quelle della tradizione.
La ricetta in assoluto più falsificata è quella della «carbonara», seguita dalla pasta al pesto (senza pinoli ma magari con noci), tortellini e costoletta alla milanese. Mentre in Italia per la preparazione dei risotti, riso cinese, nero e parboiled, sostituiscono i chicchi nostrani, magari con l'aggiunta di panna e persino liquirizia. Ma non vengono risparmiate nemmeno le ricette regionali, dalla pasta alla Norma alla bagna caoda. Il prodotto culinario più «taroccato» all'estero rimane però la pizza, ma non si possono dimenticare imitazioni grossolane come il «Parmesao brasilian«, il «Parma ham« Usa e il «Danish Grana« danese.
«Le ricette non autentiche offendono il patrimonio culturale e la nostra è una battaglia a difesa del palato - spiega Giovanni Ballarini, presidente della storica istituzione culturale fondata da Orio Vergani nel 1953 - ma anche contro una frode commerciale di grande rilevanza economica che nuoce gravemente all'industria alimentare del nostro Paese e più in generale all'immagine del 'made in Italy'».
L'Accademia ricorda infatti che di fronte a un fatturato export dell'industria alimentare italiana pari a 20 miliardi di euro, l'imitazione dei prodotti agroalimentari nel mondo vale oltre 50 miliardi di euro. Solo negli Stati Uniti il valore di mercato stimato per gli alimenti «italian sounding» (che richiamano cioé, in qualche modo, il patrimonio del nostro Paese) è di di 6,2 miliardi di dollari, contro i 2 miliardi di dollari circa dei prodotti italiani. La lotta alla contraffazione alimentare vede impegnato in prima fila il Nas, il comando carabinieri per la tutela della salute, che nel solo 2007 ha svolto oltre 28mila ispezioni accertando più di 24mila infrazioni (di cui circa 5.600 di rilevanza penale), arrivando al sequestro di 14 milioni di chili di prodotti alimentari per un valore di oltre 120 milioni di euro. All'impegno profuso dai Nuclei, si aggiunge quello dell'Istituto controllo e qualità del ministero delle Politiche agricole che, nello stesso anno, ha eseguito 733 sequestri per un valore complessivo di 22 milioni di euro, notificando, quasi 40mila ispezioni, ben 478 notizie di reato.
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