4 maggio 2024
Aggiornato 08:30

Cgil: «no a abrogazione studi di settore»

«Già le stesse norme sugli studi di settore contenute nel decreto anticrisi rappresentino un sostanziale svuotamento di questo strumento»

«Gli emendamenti che prevedono l’abolizione dell’accertamento automatico nei confronti dei contribuenti che denunciano redditi inferiori a quelli previsti dagli studi di settore, e l’inversione dell’onere della prova non più a carico di chi non è in linea con i parametri ma dell’amministrazione fiscale, abrogano di fatto gli studi di settore». È quanto sostiene il responsabile del Dipartimento economico della Cgil Nazionale, Beniamino Lapadula, nel rilevare come «già le stesse norme sugli studi di settore contenute nel decreto anticrisi rappresentino un sostanziale svuotamento di questo strumento».

Per questo la Cgil, in vista della riunione di domani delle commissioni Bilancio e Finanza della Camera, chiede al governo che non vengano approvati tali emendamenti. «Una loro approvazione, infatti, - continua Lapadula - potrebbe compromettere ulteriormente il già difficile rapporto con il sindacato».

«Tremonti ha ripreso una vecchia abitudine: quella di taroccare i conti pubblici per favorire il blocco sociale di riferimento del centrodestra», dice il sindacalista nello spiegare come: «Le misure contenute nel decreto, e ancor più quelle previste negli emendamenti suggeriti dal ministero dell’Economia, riducono le imposte a professionisti, lavoratori autonomi e imprenditori, incentivandoli in modo esplicito ad evadere». Il ministro dell’Economia, conclude Lapadula, «ha negato la restituzione di 4 miliardi di drenaggio fiscale a lavoratori dipendenti e pensionati per elargire un bonus di pari importo ai contribuenti interessati dagli studi di settore: si tratta di uno schiaffo in faccia a Cgil, Cisl e Uil che non potrà non avere pesanti conseguenze».