19 aprile 2024
Aggiornato 09:30
Pacchetto UE Clima-Energia

Fra Roma e Bruxelles è guerra di cifre su pacchetto Ue

La guerra di cifre scatenatasi fra Roma e Bruxelles sui costi del pacchetto è basata, curiosamente, almeno in parte sullo stesso documento

Il commissario europeo all'Ambiente, Stavros Dimas, si è detto oggi «allibito» degli argomenti usati in Italia contro il 'pacchetto' legislativo Ue su clima ed energia, e ha smentito nettamente le cifre avanzate recentemente da Roma sui costi del pacchetto (181 milardi di euro dal 2011 al 2020, e l'1,14 del Pil). Ha, invece, affermato che si arriverà al massimo allo 0,66% del Pil, ovvero fra i 9,5 e i 12,3 miliardi di euro nel 2020.

La guerra di cifre scatenatasi fra Roma e Bruxelles sui costi del pacchetto è basata, curiosamente, almeno in parte sullo stesso documento: il corposo studio «Model-based Anlysis of the 2008 EU Policy Package on Climate Change adn Renewables», di P.Capros, L.Mantzos, V.Papandreu e N.Tasios. L'analisi, indicata per brevità come modello 'Primes' e datata giugno 2008, è stato in realtà trasmessa ai governi degli Stati membri in settembre, e analizza una serie di scenari dipendenti dalle diverse possibilità ancora aperte nel negoziato su clima ed energia in corso fra i Ventisette (e fra il Consiglio Ue e il Parlamento europeo). La divergenza fra Dimas e il governo italiano si spiega facilmente: il governo, come ha spiegato ieri il ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo, ha utilizzato una tabella con sette diversi scenari, prendendo quello in cui, apparentemente, l'Italia si avvicinerebbe di più ai suoi obiettivi di riduzione delle emissioni e sviluppo delle energie rinnovabili fissati per il 2020. La Commissione, invece, si riferisce ad altre tabelle, e in particolare, per gli effetti sul Pil, alla tabella 11 pubblicata a pagina 20 dello studio, in cui si stimano i «costi per attuare gli schemi di ripartizione dello sforzo» di riduzione delle emissioni fra i vari Stati membri.

La differenza, nota la Commissione, è che la tabella usata dall'Italia non prende in conto una serie di elementi di flessibilità che sono invece acquisiti nel pacchetto, e che ne rendono molto meno cara l'applicazione. In particolare, nello scenario 'scelto' dall'Italia non sono compresi né la possibilità di scambiare fra Stati membri i 'crediti' derivanti dalla produzione di fonti rinnovabili con il sistema delle 'garanzie d'origine'), né il ricorso ai 'crediti esterni', ovvero la possibilità di contabilizzare in patria riduzioni di CO2 derivanti da progetti realizzati fuori dall'Ue, attraverso il Meccanismo di sviluppo pulito (Cdm) nelle economie emergenti o i pesi in via di sviluppo, e il meccanismo di 'Joint Implementation' negli Stati dell'ex Urss. Non tenere conto di questi meccanismi significa, argomenta la Commissione, aumentare notevolmente i costi di attuazione del pacchetto non solo per l'Italia, ma per tutti a l'Ue.

La Commissione fa anche notare che le cifre indicate con il termine 'costi aggiuntivi' non possono essere meccanicamente sottratte al Pil, in quanto si tratta di costi (in particolare quelli pagati dall'industria per acquistare i diritti di emissione di CO2) che restano nelle casse dello Stato membro in cui sono pagati, e che sono poi reinvestiti nell'economia nazionale ed europea, nelle fonti rinnovabili e nella transizione energetica, creando spesso posti di lavoro. L'analisi dell'Esecutivo Ue mostra che, in realtà, con la realizzazione del pacchetto l'Italia è non se la caverebbe affatto male come ha confermato oggi Dimas. Nella tabella usata dalla Commissione, il costo per l'Italia (0,51-0,66 per cento del Pil) è di poco superiore a quello medio dell'Ue (0,45%), e vicino a quello della Germania (0,49 - 0,56 per cento) e non lontano dalle stime per la Gran Bretagna (0,34 - 0,42 per cento) e persino della Francia (0,32 - 0,47 per cento), che pure può contare sul contributo del nucleare. Per la Spagna, il costo è leggermente inferiore (0,41 - 0,62 per cento), mentre è molto più basso proprio per la Polonia (0,06 - 0,38 per cento), che con l'Italia tanto si oppone al 'pacchetto'. Per nessun paese, comunque, il costo arriverebbe all'1% del Pil, salvo la Lituania (1,02), nel caso in cui non venissero applicati i 'meccanismi di solidarietà' che ridistribuiscono verso i paesi più poveri il 10% del ricavato delle aste dei diritti di emissione nei paesi più ricchi.

Fonte: Apcom