26 aprile 2024
Aggiornato 07:00
Pesca

FAO: «Dopo il boom, primi segni di rallentamento per l’acquacoltura?»

Nuove questioni sul futuro della pesca d’allevamento

La pesca d’allevamento è arrivata ad un bivio cruciale, per l’emergere di nuove sfide legate alla capacità che avrà il settore di soddisfare la futura domanda mondiale di pesce. Secondo la FAO, i piccoli acquicoltori dei paesi in via di sviluppo incontrano sempre maggiori difficoltà ad esportare i propri prodotti, e hanno bisogno di sostegno per essere competitivi ed avere accesso ai mercati mondiali.

Nel 2006 il consumo mondiale di pesce è stato di 110,4 milioni di tonnellate, 51,7 milioni dei quali provenienti dall’acquacoltura.

La produzione ittica da cattura tradizionale ha raggiunto il livello limite e per soddisfare la domanda di un’accresciuta popolazione mondiale, per il 2030 l’acquacoltura dovrà produrre 28,8 milioni di tonnellate in più all’anno – in totale 80,5 milioni di tonnellate - solo per riuscire a mantenere il livello attuale di consumo di pesce pro capite.

In un documento presentato alla riunione della Sotto-Commissione Acquacoltura, della Commissione Pesca della FAO (COFI), che si svolge in questi giorni (6-10 ottobre) a Puerto Varas, in Cile, la FAO segnala la necessità di affrontare una serie di sfide emergenti affinché l’acquacoltura possa sviluppare il suo potenziale.

«Il problema è se la pesca d’allevamento possa crescere abbastanza in fretta da riuscire a coprire la prevista maggiore domanda di pesce, assicurando al tempo stesso la difesa del consumatore, mantenendo integro l’ambiente e raggiungendo la responsabilità sociale», avverte il rapporto.

Il vero e proprio boom registrato dal settore negli ultimi trent’anni comincia a registrare segni di rallentamento. Il tasso di crescita annua che nel decennio 1985-1995 era dell’11,8 per cento, è sceso nel decennio successivo al 7,1 per cento, ed ha raggiunto il 6,1 per cento nel biennio 2004-06.

Il problema dei mangimi

La maggior parte delle specie consumate nei paesi in via di sviluppo, come carpe e tilapie, sono erbivori o onnivori.

Ma specie come il salmone o i gamberetti – spesso allevati nei paesi in via di sviluppo ed esportati nei mercati ricchi del nord del mondo, fornendo occupazione e reddito a milioni di persone - si nutrono di altri pesci, nella forma di farina o di olio.

Nel 2006 l’acquacoltura ha consumato 3,06 milioni di tonnellate (il 56 per cento) della produzione mondiale di farina di pesce e 780.000 tonnellate (l’87 per cento) della produzione totale di olio di pesce. Oltre il 50 per cento dell’impiego di olio di pesce del settore è stato assorbito dagli allevamenti di salmone.

La produzione di farina e di olio di pesce è rimasta stagnante nel corso dell’ultimo decennio, e secondo la FAO non si prevedono incrementi significativi. Allo stesso tempo, il volume di farina e di olio di pesce impiegati in mangimi composti per l’acquacoltura è triplicato tra il 1996 ed il 2006. Questo è stato possibile grazie alla sensibile riduzione della dipendenza del settore avicolo dalla farina di pesce per il mangime del pollame.

«È probabile che il settore avicolo e quello zootecnico continueranno ad usare meno la farina di pesce per i mangimi, che è una buona cosa per il futuro dell’acquacoltura basata sui mangimi», ha osservato Rohana Subasinghe, esperto FAO di pesca d’allevamento e Segretario della Sottocommissione del COFI sull’acquacoltura. «Per l’alimentazione di pesci onnivori come la carpa sono sempre più impiegati mangimi composti, con un conseguente aumento della domanda di farina di pesce. Dobbiamo dunque fare un uso più efficiente dei mangimi e cercare di trovare complementi di proteine alternativi», ha aggiunto.

A rischio i piccoli acquicoltori

I piccoli acquicoltori potrebbero trarre grande beneficio dal commercio ittico internazionale, stimato intorno ai 79 miliardi di dollari all’anno, sebbene le difficoltà non siano poche.

La FAO fa notare che per alcuni prodotti di base e in alcuni paesi produttori, sta diminuendo il numero complessivo di allevamenti, mentre sono aumentate le dimensioni dei singoli allevamenti, segno di una crescente concentrazione del settore in mano di pochi grandi gruppi.

«Occorre tenere sotto controllo queste tendenze, per esempio istituendo cooperative e consorzi fra i produttori, in modo che i piccoli coltivatori possano unire le forze, migliorare le loro attività, accedere ai mercati e rimanere competitivi nei confronti dei produttori più grandi», dice Subasinghe.

Tra gli altri problemi individuati nel documento FAO vi sono l’impatto del settore sull’ambiente, la sicurezza igienico-sanitaria dei prodotti, l’uso di antibiotici e le conseguenze che il cambiamento climatico può avere sull’acquacoltura.

Linee guida per la certificazione

Un modo per aiutare l’acquacoltura a limitare il suo impatto ambientale e garantire che essa vada a vantaggio dei piccoli allevatori, è quello di certificare i prodotti in modo che acquirenti e consumatori possano scegliere quelli che sono stati prodotti in modo sostenibile, sano e socialmente responsabile.

La certificazione è una pratica sempre più usata sia nella pesca d’allevamento che in quella da cattura tradizionale, ma non è priva di problemi.

Poiché questi programmi prolificano, i produttori incontrano difficoltà per riuscire a soddisfare i vari requisiti di qualità applicati dalle diverse compagnie, paesi o organizzazioni di certificazione, che possono differire considerevolmente gli uni dagli altri.

Una pletora di normative inoltre, aumenta la probabilità che si usino etichette di certificazione fasulle insieme a quelle attendibili.

Per affrontare questi problemi, la FAO sta lavorando con il Network che unisce i centri di acquacoltura dell’Asia e del Pacifico (NACA, la sigla inglese), organizzando consultazioni con i vari organismi addetti alla certificazione, con i gruppi di produttori, con le organizzazioni industriali e dei consumatori, per arrivare a redigere linee guida a livello mondiale su come le norme di certificazione per la pesca d’allevamento debbano essere stabilite ed applicate.

Sono state finalizzate un insieme di linee guida che saranno sottoposte alla Sottocommissione del COFI questa settimana per essere discusse ed approvate.

Le linee guida non serviranno di per sé come norme di certificazione, ma piuttosto forniranno una base comune per assicurare che chiunque certifichi pesce d’allevamento - sia che si tratti di governo, ONG, o compagnie private - lo faccia nello stesso modo, seguendo le stesse normative.

La FAO ha già sviluppato linee guida similari per la certificazione di prodotti ittici provenienti dalla pesca di cattura tradizionale di mare e di acque interne.