26 aprile 2024
Aggiornato 00:00
Sex toys e privacy

Il vibratore smart ficca il naso nei dati personali sensibili. Una donna sporge denuncia

Un sex toys evoluto, o intelligente, ma che è un ficcanaso. Una donna ha intentato una causa all’azienda produttrice di un vibratore ‘smart’ che utilizza una App da smartphone per la gestione del piacere. Solo che in questo modo si veniva a sapere tutto sull’uso da parte della donna.

NEW YORK - La rivoluzione tecnologica ha coinvolto anche i sex toys, i giocattoli erotici indirizzati in particolare al piacere femminile. E’ il caso di un vibratore smart (intelligente) che si collega a una App per smartphone che ne permette di controllare il movimento anche a distanza – magari da parte del proprio partner – e altre funzioni come per esempio la videochat. Solo che proprio attraverso l’App ‘We-Connect’, il sex toy diventa un ficcanaso e l’azienda produttrice si fa i fatti della persona che lo usa: in questo caso una donna dell’Illinois, che ha poi denunciato la canadese Standard Innovation.

Dati personali
La scelta di utilizzare un vibratore per il piacere personale dovrebbe essere appunto un fatto personale. Anche perché quando si tratta di sessualità i dati sono considerati sensibili. Eppure, attraverso l’App We-Connet in dotazione con il vibratore ‘We-Vibe Rave’, l’azienda produttrice poteva sapere a che orario si utilizzava il sex toy, quanto duravano le sessioni, l’intensità della vibrazione e altro ancora. Ecco perché, una volta accortasi, la donna ha denunciato il fatto.

Violazione della privacy
Secondo lo studio legale Edelson che sta gestendo la causa, tramite We-Connect la Standard Innovation riesce a ottenere ogni singolo dettaglio sull’utilizzo del sex toy da parte dell’acquirente senza fornire informazioni o avvisi in merito, riporta il Chicago Tribune. «E’ uno dei casi di violazione della privacy più incredibili con cui abbiamo mai avuto a che fare», ha spiegato al quotidiano Usa Eve-Lynn Rapp, uno degli avvocati che sta lavorando al caso. Lo studio Edelson, nel frattempo sta pensando di trasformarlo in una class action, sostenendo che sono «decine di migliaia» i casi analoghi.

Cosa dice l’azienda
Il portavoce di Standard Innovation, Denny Alexander, ha dichiarato di non aver ancora ricevuto la documentazione legale. Ha tuttavia promesso che «esaminerà in maniera approfondita» il fascicolo, non appena lo avrà sottomano. «Raccogliamo alcuni dati limitati per poter migliorare i nostri prodotti e per ragioni di diagnostica – ha spiegato Alexander – come pratica, usiamo questi dati in maniera aggregata e non identificabile».

Cosa dicono gli avvocati
Lo studio legale Edelson non è d’accordo, e ritiene invece che i dati raccolti permettono di risalire a ogni singolo utente, dato che in fase di registrazione è richiesto un indirizzo email da abbinare al profilo con cui si accede all’applicazione We-Connect. Insomma, anche nell’intimità c’è chi ci spia.