19 aprile 2024
Aggiornato 06:00
Storie di Torino

L'ultima pena di morte in Italia fu a Torino, giustiziati i banditi della «Strage di Villarbasse»

Era il 20 novembre 1945. Una rapina si trasformò in un massacro con dieci vittime. I responsabili, trovati con difficioltà, vennerò giustiziati. Fu l'ultima

VILLARBASSE - Doveva essere una cena di festa passata attorno a una tavola, invece si trasformò in quella che oggi è conosciuta come la «Strage di Villarbasse». Ciò che quella notte avvenne a pochi chilometri di Torino non è ricordata come una delle stragi peggiori del dopoguerra, ma è diventato storia anche e soprattutto perché gli autori del plurimo omicidio furono le ultime giustiziate in Italia prima dell’abolizione della pena di morte.

LA STRAGE - Era il 20 novembre 1945. A Cascina Simonetto, di proprietà dell’avvocato Massimo Ginoli (65 anni), che cenò nella casa padronale servito dalla domestica Teresa Delfino, si riunirono anche l’affittuario Antonio Ferrero, sua moglie Anna, il genero Renato Morra, le domestiche Rosa Martinoli e Fiorina Maffiotto, più un bimbo di due anni e il nuovo lavorante Marcello Gastaldi. La cena altro non era che un momento in cui poter festeggiare la nascita della nipote di Antonio Ferrero. Quel pasto festoso però non venne consumato mai. Pietro Lala, un vecchio lavoratore della Cascina che aveva prestato servizio per alcuni mesi sotto il falso nome di Francesco Saporito, studiò un piano per mettere a segno una rapina nella Cascina Simonetto. Lo avrebbe fatto con tre complici, arrivati tutti dalla Sicilia: Francesco La Barbera, Giovanni Puleo e Giovanni D'Ignoti. Qualcosa però non andò come previsto e, una volta entrati in casa armati di pistole e aver fatto capire a tutti i presenti le intenzioni, cadde per terra la maschera che celava il volto proprio di Pietro Lala che fu subito riconosciuto da una delle donne sequestrate. Da lì ebbe inizio quella che è conosciuta come la «Strage di Villarbasse». Uno a uno gli ostaggi vennero portati in cantina, furono colpiti con un bastone e poi gettati in una cisterna per la raccolta dell'acqua piovana che si trovava sull'aia.

I QUATTRO SICILIANI - Per dieci giorni nessuno ebbe più notizie di tutti i residenti della Cascina. Qualcuno pensò fossero partiti per le ferie, altri credettero che dietro ci fosse un rapimento. La svolta arrivò quando fu ritrovato un cappello sporco di sangue e in cantina una giacca, sempre macchiata, in cui si leggeva «Caltanissetta». Un piccolo ma fondamentale indizio che avrebbe portato all’identificazione dei quattro killer. Prima vennero ritrovati i corpi delle dieci vittime (Massimo Gianoli, avvocato, 65 anni; Antonio Ferrero, affittuario, 51 anni; Anna Varetto, moglie di Ferrero, 45 anni; Renato Morra, genero dei Ferrero, 24 anni; Marcello Gastaldi, bracciante, 45 anni; Teresa Delfino, domestica, 61 anni; Rosa Martinoli, domestica, 65 anni; Fiorina Marfiotto, domestica, 32 anni; Gregorio Doleatto, marito di Fiorina Marfiotto; Domenico Rosso, marito di Rosa Martinoli), poi si cercarono i colpevoli iniziando una serie di arresti ingiustificati. Alla fine però la verità e i colpevoli vennero a galla. Venne ritrovata un pezzo di tessera annonaria in una soffitta di via Rombò nella vicina Rivoli. Quella tessera apparteneva a Giovanni D'Ignoti, uno dei quattro banditi. I carabinieri lo arrestarono facendogli credere di aver già fermato i suoi tre complici: con l’inganno riuscirono a farlo confessare ottenendo gli altri tre nomi. Era il marzo del 1946.

L’ULTIMA ESECUZIONE IN ITALIA - Furono arrestati solamente tre dei quattro banditi: uno fu ucciso in un regolamento di conti a Mezzojuso, in Sicilia, dove tornò dopo il colpo in Cascina Simonetto. Furono arrestati e portati prima al carcere di Venaria e poi a Le Nuove di Torino. Il processo, iniziato il 2 luglio 1945, si concluse con la condanna a morte per i tre. Sentenza ribadita anche dalla Corte di Cassazione il 29 novembre 1946. Salvataggio in extremis negato anche dall’allora Capo dello Stato, Enrico De Nicola, che non volle dare loro la grazia. Furono giustiziati da un plotone di esecuzione al poligono di tiro delle Basse di Stura di Torino. Assistettero due giornalisti all’esecuzione, ma senza fotografi al seguito. Quello fu l’ultimo reato per cui sia stata applicata la pena di morte in Italia prima che la Costituzione del 1948 la abolisse.