29 marzo 2024
Aggiornato 09:30
Macrofagi e cancro

Ecco il nuovo farmaco che si «mangia» il cancro

Uno studio pubblicato sul Nature Biomedical Engineering, ha dimostrato come una super-molecola può annientare solo le cellule tumorali lasciando intatte quelle sane

Un nuovo farmaco che si "mangia" il cancro
Un nuovo farmaco che si "mangia" il cancro Foto: Puhhha | Shutterstock Shutterstock

È guerra aperta contro il cancro! Scienziati di tutto il mondo stanno dedicando gran parte del loro tempo e delle loro risorse per combattere una delle malattie più temibili dell’umanità. Le patologie oncologiche, infatti, sono considerate tra le prime cause di morte dopo i disturbi cardiovascolari. Per questo motivo è essenziale cercare di trovare una soluzione – che sia realmente efficace – il più presto possibile. E un possibile rimedio è quello scoperto da alcuni scienziati americani che hanno appena pubblicato il risultato dei loro studi sul Nature Biomedical Engineering.

Un farmaco speciale
L’idea degli scienziati è stata quella di mettere a punto un farmaco speciale, che si possa distinguere dalla chemioterapia, una cura che sì, combatte il cancro, ma che uccide anche le cellule umane. Al contrario, quello di nuova concezione, aiuterebbe il nostro corpo a mangiare le cellule cancerose portandole alla morte.

Come funziona
Affinché il nostro organismo si mangi le cellule cancerose, il nuovo trattamento deve stimolare l’azione dei globuli bianchi – i cosiddetti macrofagi. Si tratta di cellule che il sistema immunitario usa per inghiottire gli organismi invasori. Dai primi test – per ora condotti solo su modello animale – si è potuto constatare che la terapia funzione bene per i tumori aggressivi del seno e della pelle.

La fase clinica
Visto gli eccezionali risultati ottenuti su modello animale, il team di ricerca statunitense ha in programma di iniziare la fase clinica (la sperimentazione sull’essere umano) entro pochi anni. La buona notizia è che il farmaco da loro realizzato, al momento possiede già una licenza. Il che significa che l’approvazione alla commercializzazione potrebbe essere molto più rapida del normale.

Una super molecola
L’idea degli scienziati è quella di sfruttare una super-molecola, ovvero un medicinale composto da più molecole che si incastrano un po’ come i mattoncini di un Lego. Da tempo, anche altri ricercatori, stanno tentando di trovare una soluzione per ovviare all’uso di farmaci devastanti come la chemioterapia. Va da sé che al momento pochi medicinali di questo genere sono stati messi in commercio. Fatta eccezione per l’immunoterapia – che non sempre è in grado di agire in monoterapia – e per l’innovativa tecnica CAR-T cell i cui costi, tuttavia, sono ancora decisamente elevati.

Invasori stranieri
Tutti noi possediamo delle cellule, i macrofagi, che hanno il compito di combattere le infezioni batteriche e virali grazie a un loro sistema di riconoscimento che annienta gli invasori stranieri. Tutto ciò, però, non sembra bastare per bloccare il cancro. Questo perché i tumori partono da cellule umane e sono dotati di meccanismi così intelligenti che gli permettono di essere invisibili al sistema immunitario. Tuttavia, la super molecola progettata dagli scienziati del Brigham and Women's Hospital della Harvard Medical School, coordinati dal dottor Ashish Kulkarni, agisce in due modi. Il primo è proprio quello di fare venire allo scoperto il cancro, in maniera che i macrofagi riescano a identificarlo. E il secondo è quello di permettere ai macrofagi di funzionare correttamente e di non agire come se fossero stati corrotti dalle cellule cancerose.

I risultati
Dai risultati del test si è potuto evidenziare come la terapia innovativa fosse in grado di impedire al cancro di diffondersi. Inoltre, la supermolecola, potrebbe essere utilizzata tranquillamente insieme ad altri farmaci, i cosiddetti inibitori del checkpoint. «È promettente vedere un altro nuovo approccio: ora è necessario fare ulteriori ricerche per dimostrare che questo approccio potrebbe essere usato per curare efficacemente i malati di cancro», conclude Carl Alexander del Cancer Research UK.