Un radiofarmaco contro il cancro alla prostata
Si chiama Radio-223 dicloruro e secondo i medici nucleari aumenta del 30% la sopravvivenza globale. Se ne parla in questi giorni al congresso di categoria in corso a Rimini
ROMA (askanews) – Una sopravvivenza globale del 30% in più. È quella che garantisce il Radio-223 dicloruro, il primo radiofarmaco efficace nei pazienti affetti da tumore della prostata con metastasi ossee. Una vera innovazione riconosciuta anche dall'Agenzia italiana del farmaco che sta per inserirlo in fascia H, a totale carico del sistema sanitario. Viene utilizzato dal medico nucleare, una figura che sta assumendo sempre più rilevanza nella lotta al cancro. «Fino a poco tempo fa, il campo di più importante applicazione terapeutica della medicina nucleare era in ambito tiroideo (carcinomi ed ipertiroidismo) – afferma Onelio Geatti, presidente nazionale dell'Associazione italiana di medicina nucleare ed imaging molecolare – Ora si apre uno spazio nuovo nella terapia di una neoplasia che i numeri indicano come il primo per diffusione fra gli uomini del nostro Paese. Ogni anno si registrano, infatti, oltre 36 mila nuovi casi». Di queste nuove opportunità, e del futuro della medicina nucleare, si discuterà fino a domenica nel corso del 12° Congresso nazionale dell'Aimn, a Rimini, dove sono previsti oltre 500 specialisti provenienti da tutta Italia.
Una terapia sicura
«Serviva una nuova arma contro una malattia che provoca più di 7.500 decessi l'anno – sottolinea Sergio Baldari direttore Uoc di Medicina nucleare dell'Università di Messina – Il Ra-223 è un radiofarmaco ad azione specifica sulle metastasi ossee. Emette radiazioni alfa ed ha dimostrato, rispetto ad altre terapie, di non indurre danni evidenti al midollo osseo. Migliora in modo significativo la qualità della vita dei pazienti e, oltre ad incrementare la sopravvivenza, riduce il dolore osseo che contraddistingue la neoplasia». «La medicina nucleare è sicura – sostiene Maria Luisa De Rimini, presidente del congresso Aimn – I radiofarmaci che utilizziamo di solito vengono somministrati con iniezione in vena. Il Ra-223 espone il paziente a dosi di radioattività estremamente basse e il suo impatto nell'ambiente è approssimabile a zero. Per evitare comunque eventuali dispersioni o problemi alle persone che vivono vicino al malato, è sufficiente seguire alcuni piccoli accorgimenti nei primi giorni del trattamento. Ad ognuno dei nostri pazienti vengono dati tutti i consigli necessari per proteggere familiari, amici e colleghi nella prima settimana dalla somministrazione».
Come funziona
Il ruolo del medico nucleare all'interno del team multidisciplinare che cura i tumori è uno dei temi al centro del Congresso di Rimini. «Il nostro compito principale è affiancare lo specialista clinico e valutare quando e se è appropriato l'uso di un determinato radiofarmaco – aggiunge Baldari – Il Ra-223 può essere utilizzato solo dopo aver verificato la presenza di metastasi ossee». «La medicina nucleare utilizza sostanze radioattive per colpire le cellule tumorali – spiega Geatti – A differenza della radioterapia classica però la somministrazione delle radiazioni avviene dall'interno e non dall'esterno. L'idea che siano iniettati dentro l'organismo umano atomi radioattivi spaventa molti dei nostri pazienti. I radiofarmaci alfa emittenti invece hanno la capacità di legarsi e agire solo sui tessuti malati risparmiando tutto ciò che sta attorno. Basta un foglio di carta o una siringa di plastica per creare una barriera invalicabile per queste particelle».
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