20 aprile 2024
Aggiornato 15:00
Decreto sicurezza

Le 7 Regioni «rosse» contro Salvini: chi sono e cosa contestano

Monta la fronda delle Regioni di centrosinistra contro il Decreto Sicurezza del vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini

Migranti portati via dalla Polizia
Migranti portati via dalla Polizia Foto: Massimo Percossi ANSA

ROMA - Monta la fronda delle Regioni di centrosinistra contro il Decreto Sicurezza del vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini. Dopo il Piemonte, la Toscana e la Calabria, anche la Regione Umbria ha annunciato di voler ricorrere alla Corte Costituzionale contro il dispositivo, mentre Emilia-Romagna, Lazio e Basilicata stanno valutando un’analoga iniziativa.

Regione Piemonte

Il Piemonte presenterà ricorso alla Consulta sulla parte del Decreto sicurezza che tocca competenze regionali. «Stamattina ho avuto conferma dalla nostra avvocatura, che su questo si sta anche confrontando con i colleghi della Regione Toscana, che esistono le condizioni giuridiche per il ricorso alla Consulta, visto che il decreto, impedendo il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi umanitari, avrà ripercussioni sulla gestione dei servizi sanitari e assistenziali, di nostra competenza, che la Regione ha finora erogato ai migranti interessati», ha spiegato il presidente della Regione Sergio Chiamparino, che aveva annunciato la possibilità a inizio gennaio. «Stiamo valutando se esistono i fondamenti giuridici per un ricorso della Regione. Noi – ha assicurato Chiamparino – continueremo a fornire le cure necessarie, in base al principio universale che quando una persona sta male deve essere curata. Ma sono evidenti le gravi conseguenze che il decreto avrà sul territorio regionale, creando di colpo una massa di invisibili di cui in qualche modo la Regione e i Comuni dovranno comunque occuparsi, nel campo della sanità e delle politiche sociali, con evidenti e paradossali ripercussioni negative proprio sul terreno della sicurezza e della convivenza civile», ha concluso il governatore.

Regione Toscana

Ieri il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, ha annunciato su Facebook che oggi sarebbe partito il ricorso «alla Corte Costituzionale contro il decreto Salvini. Lo farà perché può, come sancito dalla Costituzione all’art. 127 e lo farà perché deve, come terra di diritti umani e solidarietà. Riteniamo che il decreto sicurezza tocca direttamente e indirettamente le materie concorrenti. Quelle su cui, come prescrive l’art. 117 della Costituzione, abbiamo potestà legislativa come Regione. Vale a dire: l’assistenza sanitaria, il diritto alla casa e all’istruzione. Diritti essenziali – ha spiegato Rossi – che vanno garantiti senza distinzione di sesso, di razza e di religione». E ricorda che su queste materie hanno appena legiferato, presentando a fine dicembre una legge per la tutela dei ‘diritti essenziali della persona umana’. Ora la Toscana ricorre alla Consulta e «questo nostro ricorso, ne siamo certi, interpreta inoltre il sentimento di migliaia di sindaci e servitori dello Stato, di milioni di donne e uomini cittadini italiani.». Poi l'invito agli altri: «Ricorrano i sindaci e gli altri Presidenti di Regione, ricorrano i richiedenti asilo. Si è aperto un varco per ristabilire il rispetto dei diritti umani». Questa non è propaganda e non è provocazione, assicura Rossi, ma è la certezza che la ferita inferta può essere riparata. Il ministro degli Interni che, «essendosi sino ad ora accanito con buon gioco sugli ultimi e sui più deboli, deve ancora dar prova del suo coraggio, non perda questa occasione e impugni la nostra legge regionale». Ma si ricordi che un suo alleato storico, il già premier Silvio Berlusconi, nel 2010, quando la Lega governava e faceva sanatorie con lui, impugnò un’altra legge toscana, gemella dell’attuale, perdendo dinanzi alla Consulta. «La bestia d’odio che Salvini ha scatenato nel paese e le battute di caccia al ‘capro espiatorio’ che egli conduce in prima persona o per procura, potrebbero svelarsi presto per quello che sono: tigri di carta. Apparentemente terribili, ma in realtà impotenti» conclude Rossi.

Regione Umbria

La giunta regionale dell’Umbria ha deliberato oggi che ricorrerà alla Corte Costituzionale contro il decreto sicurezza. La presidente della Regione, Catiuscia Marini, ha ribadito la sua ferma volontà di «mantenere inalterati i livelli dei servizi e dei diritti riconosciuti agli stranieri entrati regolarmente nel nostro territorio ed oggi posti in uno ‘strano limbo’ e penalizzati dal decreto sicurezza, con grave lesione dei diritti umani e del rispetto della dignità di ciascuna persona, una situazione che genera peraltro problemi sociali nelle singole città della regione e rende complicato l’intervento sociale da parte delle istituzioni locali». La Giunta regionale ha inoltre deliberato di avviare il percorso per l’approvazione di un disegno di legge «salva-regolari» che mantenga inalterati, a garanzia di tutta la comunità regionale e in attesa del giudizio della Corte, i diritti sociali ed umani garantiti nel nostro territorio regionale a quegli stranieri entrati regolarmente in Italia e che ora sono stati privati delle proprie legittime aspettative dal decreto sicurezza. La Giunta sosterrà anche le azioni legali intraprese dai sindaci, mediante gli opportuni strumenti giuridici a disposizione.

Regione Calabria

Il 5 gennaio il presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio, aveva spiegato che assieme alle altre Regioni si sarebbe rivolto alla Corte Costituzionale per chiedere l’annullamento della normativa al fine di stoppare una legge che «viola diversi trattati internazionali sui diritti umani e i principi fondanti la nostra Costituzione». Oliviero aveva già espresso, in occasione del dibattito parlamentare circa l’approvazione del decreto sicurezza, tutte le sue perplessità rispetto ad un provvedimento «fortemente discriminatorio» nei confronti di persone, immigrati regolari, che non potranno godere di diritti fondamentali. «Gli atti di disobbedienza annunciati e praticati da diversi sindaci italiani confermano le mie preoccupazioni ed hanno il mio pieno sostegno».

Regione Emilia-Romagna, Lazio e Basilicata

Anche Emilia-Romagna, Lazio, e Basilicata stanno valutando di ricorrere alla Consulta. In un’intervista ieri al Corriere di Bologna, la vicepresidente della Regione Emilia-Romagna con delega al welfare Elisabetta Gualmini ha spiegato che come Regione non hanno competenze dirette sulla gestione dell’accoglienza, ma le hanno «certamente» sul sistema sanitario e se a una persona viene negato l’accesso ai servizi sanitari di base come causa della mancata iscrizione all’anagrafe «è chiaro che è un problema, nonché una violazione dei diritti fondamentali. Dunque non escludiamo di fare ricorso». Idem la Regione Lazio. «Stiamo valutando il ricorso, ovviamente», ha detto oggi il presidente Nicola Zingaretti: «Il ricorso dovrà essere cogente e preparato dal punto di vista normativo nel migliore dei modi. Dobbiamo evitare che due pilastri coesione sociale sicurezza e civiltà vengano messi in discussione come avviene con questo decreto».