24 aprile 2024
Aggiornato 09:00
L'intervista

Giuseppe Parlato: «Perché la nomina del primo premier italiano di destra è un momento storico»

Lo storico Giuseppe Parlato spiega al DiariodelWeb.it perché la salita a capo del Governo di Giorgia Meloni rappresenta una svolta per la storia politica dell’Italia

Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni
Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni Foto: Filippo Attili Palazzo Chigi

Giorgia Meloni ha ricevuto l’incarico di presidente del Consiglio, dal capo dello Stato Sergio Mattarella, ha indicato i suoi ministri e si appresta a ricevere il voto di fiducia dalle Camere. Per la politica italiana è un momento storico: per la prima volta al vertice del governo sale un esponente della destra, quella che per decenni era stata considerata figlia di un dio minore, indegna di detenere il potere. Se non le posizioni della sinistra, quantomeno il voto dei cittadini sembra aver consegnato al passato l’infinita diatriba tra fascismo e antifascismo. Il DiariodelWeb.it lo ha analizzato con il professor Giuseppe Parlato, docente di Storia contemporanea all’Università degli studi internazionali di Roma, nonché presidente della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice.

Professor Giuseppe Parlato, la nomina del primo presidente del Consiglio italiano di destra, peraltro una donna, può essere considerato un momento di svolta?
Sì. Tenendo presente, come sappiamo, che esponenti di Alleanza nazionale avevano già partecipato per diverso tempo a governi, rivestendo anche incarichi di prestigio: ricordiamo Tatarella vicepresidente del Consiglio. Anche in quell'occasione si parlò di momento storico: anzi, forse lo era ancora di più.

Come mai?
Perché la fine del Movimento sociale era recente e i suoi quasi cinquant'anni di storia pesavano in maniera molto più rilevante rispetto a oggi. Ma non voglio trascurare il fatto che prima il premier era Berlusconi, oggi è la Meloni: un'erede diretta di quel mondo. Questo, certamente, fa la differenza e può connotare come storico questo evento.

È destinato a essere ricordato così anche dagli storici del futuro?
Dipende molto da cosa farà il governo, evidentemente. Se non dovesse funzionare, o addirittura essere travolto da questioni interne, alcune delle quali si possono già immaginare, sarebbe un'occasione perduta.

Si riferisce alle tensioni con Forza Italia e Lega?
Mi riferisco alla coesione di questo governo. Io credo che durerà, perché Giorgia Meloni si è mossa con estrema accortezza, ma questa è una mia impressione personale. Semmai, il vero momento storico lo vedo all'interno della coalizione di centrodestra.

In che senso?
Nel senso che c'è un cambio di leadership evidente, con le ovvie resistenze da parte di Berlusconi e Salvini. Il primo ha sempre avuto in mano il centrodestra, se ne sente il padre, e per certi versi lo è anche. Ma l'anagrafe è impietosa ed è chiaro che la situazione si è evoluta.

Anche la destra si è evoluta, a sua volta.
Esattamente. Un conto è essere una forza di opposizione, come fu l'Msi per cinquant'anni ed è stato Fratelli d'Italia in questi ultimi dieci; un altro conto è dimostrare di essere forza di governo. Il contrario di quello che sta capitando al Pd, che paradossalmente non riesce più a essere forza d'opposizione.

Il merito che viene riconosciuto, anche dagli avversari, a Giorgia Meloni, è si tratta di una persona seria, che studia e si prepara.
Infatti. La destra è stata spesso rappresentata da personaggi atipici, folkloristici, sopra le righe. Giorgia Meloni si presenta con serietà, non ha mostrato grandi entusiasmi dopo la vittoria elettorale, ben consapevole delle difficoltà che oggi l'Italia attraversa. Questo depone sicuramente a suo favore e lascia ben sperare.

Bisognerà vedere se anche il resto della classe dirigente sarà all'altezza.
Intanto la Meloni è riuscita a evitare i condizionamenti di pezzi molto grossi della coalizione, che avevano cercato di far passare dei nomi che non ci avrebbero portato a leggere il governo nella stessa maniera.

Parla della Ronzulli?
Per esempio, ma non solo lei. La premier è riuscita a tenere duro, a destreggiarsi, probabilmente anche con l'appoggio di Draghi, come spesso si è supposto e penso che fosse vero. Questo è un passo utile a dimostrare che la sua opposizione, dal 2011 a oggi, sia stata seria e costruttiva, non ideologica né aprioristica.

Eppure c'è ancora un pezzo di sinistra che continua a urlare al fascismo. Come mai?
Questo fa parte della patologia del sistema italiano, che da un lato ha gli occhi fissi sul passato, dall'altro non offre grandi proposte politiche nel presente. Stiamo parlando di una sinistra che ha completamente perso il rapporto con le periferie: il Pd ha vinto a Torino centro, Milano centro e Roma Parioli. Questo la dice lunga sulla sua evoluzione, o involuzione a seconda dei punti di vista.

Il Partito democratico ha perso la sua identità?
Non è più il Partito comunista di Berlinguer e forse neanche quello di Occhetto. Mettere insieme due partiti come il Pci e la Dc è stata una fusione innaturale, che contrastava completamente con il mezzo secolo precedente: poi la storia presenta sempre il conto.

Storia a cui dovrebbe ormai essere definitivamente consegnato il dualismo tra fascisti e antifascisti.
In realtà non è così, perché una storicizzazione vera è stata compiuta a livello scientifico, ma non di opinione pubblica. È più comodo tirare fuori i fasci littori piuttosto che parlare di quello che sta succedendo oggi. Così si copre l'assenza di idee politiche.

Invece del confronto con l'avversario si gioca la carta della demonizzazione, in altre parole?
Sì, ed è più facile, perché non bisogna stare a pensare ai propri problemi, solo a quelli degli altri, in un'ottica completamente fuori tempo. Questo è un passo indietro rispetto alla capacità di cogliere le trasformazioni della società di oggi. Un antifascismo ideologico che ben poco ha a che vedere con quello storico.

Qual è la differenza?
Quello storico era diviso al suo interno: non aveva un'unica linea, di fatto nemmeno durante la guerra di liberazione. Nel 1947 si spaccò e oggi una parte degli antifascisti ideologici negano che in quel fronte fossero presenti anche cattolici e liberali. Sono tanti i problemi messi sotto il tappeto per non discutere né chiarire. Se adesso, dopo ottant'anni, non c'è altro che il ricorso all'antifascismo, bisogna fare una riflessione profonda sulla sinistra italiana.

All'ossessione della sinistra non sembra contrapporsene una opposta della destra. Se ascoltiamo il suo discorso da neo seconda carica dello Stato, Ignazio La Russa ha fatto notevoli aperture, da Pertini a Liliana Segre.
Non c'è dubbio. Io sostengo che le famiglie politiche durano se cambiano. Il Movimento sociale ha fatto un percorso di cinquant'anni, che ho provato a raccontare nelle mie ricerche: una trasformazione interna che ha consentito ad An di posizionarsi in maniera completamente diversa dal passato.

Ci spieghi.
Ricordo che nel 1979 i loro alleati, alle prime elezioni europee, furono Force Nouvelle in Francia, guidata da un'erede di Vichy, Fuerza Nueva in Spagna, degli uomini di Franco, e l'Epen, il partito dei colonnelli greci. La Meloni, oggi, è la leader dei conservatori europei.

Una rivoluzione c'è stata, insomma.
Nel metodo, ma anche nella sostanza. Non si torna indietro. E questo è molto importante, perché un polo conservatore, in Italia, è sempre mancato: rappresentato di fatto dal fascismo e dalla Democrazia cristiana, non ha mai avuto una vera cittadinanza politica. Adesso ce l'ha ed è pure collegato con i movimenti europei.

Che impressione le ha fatto che nelle stesse ore dai corridoi del ministero dello Sviluppo economico siano stati tolti i ritratti di Mussolini?
Mi fa sorridere. Significa che, per vent'anni o giù di lì, il ministero è stato vuoto? C'è stata una sospensione della pubblica amministrazione? O i ritratti si espongono per tutti o per nessuno. La sinistra fa le prediche dicendo: «Non avete fatto i conti col fascismo». Ma i conti non si fanno certo bombardando i monumenti fascisti, dal Foro Italico all'Eur: questo lo fanno i talebani.

Quali sono i ragionamenti che vanno portati avanti, invece?
Partire dal presupposto che il fascismo è stata un'odiosa dittatura di quattro deficienti, che hanno costretto quaranta milioni d'italiani a obbedire come pecore, è una tesi che non regge. Allora bisognerebbe dedurne che gli antifascisti fossero degli stupidi, visto che non sono riusciti ad averne ragione in vent'anni. Ma non è così. Si continua a negare la presenza di un consenso: certamente non democratico, lo sappiamo benissimo, ma che c'è stato. Cominciamo a pensare quanto del fascismo è rimasto nella società italiana, non in senso negativo, ma di continuità dello Stato.

Ad esempio?
La riforma Gentile è stata modificata dalla Gelmini nel 2011, ed era del 1923. L'Iri è stato chiuso da Prodi nel 2000, ed era del 1931. Avranno un significato queste cose? Finché non si fanno i conti così, pensare di risolvere il problema togliendo il quadretto che rappresenta la buonanima è risibile, non serve a nulla. Anzi, conferma che continuiamo a operare a livello ideologico, senza capire cosa è successo realmente.