Il Pd ora ha paura di scomparire. E il fantasma di Macron aleggia sul congresso
I renziani sempre più 'francesi' (e di centro-destra); 'zingarettiani' pronti alle barricate. Così il Pd si avvicina al congresso più difficile della sua storia
ROMA - Ai 'zingarettiani' - ormai possiamo chiamarli così - non piace. I renziani ne sono innamorati. E così a decidere le sorti del Partito Democratico che si avvicina (forse) al congresso e che (sicuramente) deve iniziare a progettare la campagna elettorale per le prossime Europee sarà Emmanuel Macron. Proprio così. Nelle ultime ore il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, ha più volte chiuso a un Pd stile La République En Marche, bollando addirittura il presidente francese come «elitario, repubblicano, rappresentativo dei piani alti della società francese». Ma per un Zingaretti che chiude c'è un Marco Minniti che apre. E tanto. E nel chiedere che il congresso dem sia «subito» ha spiegato chiaramente come la linea del 'vecchio' Pd sia «mettere insieme un patto per fronteggiare i nazionalpopulisti ispirandoci all'europeismo, ma con una forte idea di cambiamento». e «in questo quadro è fondamentale l'alleanza con Macron».
«Congresso subito» o il Pd rischia di scomparire
«Condivido queste preoccupazioni». Parole chiare, quelle dell'ex ministro dell'Interno che in un'intervista al quotidiano La Verità ha commentato così i rischi di scomparsa del Partito democratico, ipotesi attribuita al politologo Roberto D'Alimonte. «Il Pd deve fare il suo congresso straordinario subito, ieri. Lo capiranno?». Minniti ha poi smentito l'esistenza di un patto fra le correnti per rinviare le assise. "Non mi risulta. C'è una decisione dell'Assemblea che lo fissa prima delle europee. Credo che si debba accelerarlo». E la strada con cui presentarsi al congresso è quella, in vista delle Europee, di creare una «grande alleanza» tra il Pse e altre forze «a cominciare da quella di Marcon».
I renziani ora sono macronisti
«Noi dobbiamo avere una strategie, non basta una tattica. Un grande partito di fronte a una sconfitta» ha spiegato Minniti ai militanti del Pd in un dibattito a Cortona sabato scorso «mette in atto una strategia politica. La nostra secondo me non deve essere la strategia per una riconquista rapida del potere, deve essere per una riconquista della società italiana. Noi non abbiamo l'idea di giocare il risiko per tornare al potere, ma di riconquistare pezzi della società italiana che abbiamo perduto. Prima delle elezioni europee» sostiene Minniti «è difficile pensare a un collasso della situazione attuale, i due partiti al potere si cimenteranno insieme, con due obiettivi. Primo obiettivo dimostrare che l'Italia non è un'anomalia nazionale ma che c'è un sentimento che attraversa l'Europa. La seconda questione è pensare che un'Europa che si riduca al minimo consenta margini di manovra che adesso questo governo non ha, questo è il punto: vogliono ridurre l'Europa al minimo per avere un ritorno nazionale. Se questo è il tema noi dobbiamo alle europee costruire una grandissima alleanza. Il Pse non basta, dobbiamo fare un'alleanza che non sia concentrata sulla difesa dell'Europa, così com'è l'Europa non è difendibile. Questa grande alleanza deve servire a cambiare profondamente l'Europa, parlando anche con convinzione di una evoluzione politica. Questa vicenda non si aggiusta con l'ora legale. Ci vuole un'alleanza di fondo tra il Pse e altre forze, penso a Macron, non per un'alleanza elettorale ma per rifondare il concetto di europeismo».
Martina frena: «Salvini si batte in Italia»
Chi non chiude all'idea di un polo 'macronista' è il segretario Maurizio Martina, che però avverte: la soluzione non è uno scontro «tra i sovranisti italiani e i difensori dell'Europa oltralpe» perché «Salvini si batte prima di tutto in Italia, e lo deve fare il Pd questo lavoro». Il senso delle parole del segretario Pd è chiaro: «Attenzione a non consentire agli altri di decidere anche lo stadio dove vogliono giocare questa partita». Detto ciò, anch per Martina «bisogna allargare il perimetro del centrosinistra» perché «il Pd da solo non basta», ma il problema «non è cambiare nome al partito e sarebbe anche sbagliato pensare che l'alternativa al populismo possa essere rappresentata da un protagonista fuori dall'Italia come Emmanuel Macron».
La 'sinistra' del Pd e il fantasma di Macron
Eccolo qui, quindi, il 'fantasma' di Macron. E il dilemma che rischia di spaccare definitivamente il Partito democratico: diventare una forza di centro-sinistra-destra per arginare i «sovranisti» o fare «la sinistra»? In questo senso va letto il monito di Roberto Morassut, deputato e membro della Direzione Nazionale del Pd: «Fisco, lavoro, governo del territorio, trasparenza nelle nomine pubbliche, federalismo, scuola e formazione sono i temi su cui dovremmo confrontarci aggiornando le nostre ricette dopo le esperienze di governo, più che dividerci su Macron che certamente ha battuto i populismi ma in un contesto elettorale e costituzionale diverso dal nostro e potendo avvalersi di condizioni che noi non abbiamo».
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