Non è il fuoco a distruggere la Valsusa: è l'inesistenza dello Stato, ormai ridotto a brandelli
Lo Stato italiano manda battaglioni di volontari al massacro perché non ha più un'organizzazione e un centesimo da spendere
SUSA - Mezzanotte di domenica 30 ottobre: un lungo via vai corre sulla statale della Val Cenischia, laterale della Valsusa. Sul versante sud della montagna, coperto di larici e abeti rossi, si alza un'alta lingua di fuoco che illumina la notte. Fiamme che si allungano nel cielo, quasi fino a lambire Cassiopea, regina d’Etiopia e inconfondibile costellazione del nord. Il fuoco ha camminato per quindici chilometri dal punto dove è nato: una marcia durata dieci giorni, inesorabile. Decine di lampeggianti blu corrono lungo la statale: sono i militari anti sciacallaggio che presidiano i piccoli paesi abbandonati dalla popolazione, intimorita dall’avanzare dell'incendio. Ma il fuoco rimane lontano, nonostante le sue alte fiamme che squarciano il buio, sospinto dal vento sempre più verso ovest, desideroso di poter divorare lo spesso manto di foresta presente in questa valle.
Come è stato possibile giungere a questo punto?
E’ il secondo incendio mastodontico che vedo, da molto vicino, quest’anno. Il primo è stato in Abruzzo, questa estate, nel parco naturale della Maiella. Lo sviluppo è stato molto simile: alta temperatura, siccità, all’inizio piccoli roghi scatenati da incuria o dolo. Le fiamme che avanzano sospinte dal vento, gli appelli, la scarsità di risorse che genera polemiche a non finire, il coraggioso lavoro dei volontari, il continuo odore di bruciato nell’aria per giorni che poi diventano settimane. Qui in Val Susa come là in Abruzzo è possibile vedere in controluce la vera causa di queste distruzioni. Non il vento, o i piromani: importanti ragioni accessorie, ma che al massimo possono incidere sull’innesco ma non su uno sviluppo che ormai copre un lasso di tempo pari a due settimane.
Addio allo Stato, ognuno si arrangi
Il problema è che lo Stato, i gangli che rendono solida la sua esistenza, non esiste più. In quasi venti anni è stato sciolto in nome del pareggio di bilancio, dell’austerità, delle regole sovraeuropee, della stabilità monetaria dell’euro. L’incendio della Val di Susa non è quindi una catastrofe: è un processo voluto, progettato e applicato. E segue un principio mercatistico dominante: qual è il valore del Monte Morrone o della foresta di pini sopra Susa? Potrà avere un qualche valore affettivo per qualcuno, ma da un punto dell’estrapolazione di valore diretta non vale nulla. Anzi, da inceneriti questi territori potrebbero perfino valere qualcosa, come soldi si intende, perché magari cambia il piano regolatore e si potrà costruire: tanto è raso al suolo. Per spegnere gli incendi piccoli affinché non diventino enormi servono i professionisti: ci sono? No, perché il dogma che prevede i tagli per ogni settore ha portato alla scure sulle risorse per questo settore: senza contare la brutta fine che ha fatto il Corpo Forestale. La cui abolizione, al di là di ogni forma di parassitismo, ha un costo ben più alto del risparmio avuto fino ad ora.
Un esercito di volontari, che ringraziamo, ma...
Al loro posto un plotone di volontari. Ora, per prima cosa, è bene ringraziare queste persone. Ma l’idea che si possa sostituire lo Stato con i volontari è sciagurata. Non capita solo per gli incendi, capita ovunque vi sia un servizio che lo Stato «non può più permettersi» in nome del pareggio di bilancio: sanità in primis. Ho visto in questi giorni decine, centinaia di volontari partire con zappa e rastrello e andare a spegnere le fiamme a mani nude. Ma in cuor mio mi sembrava un immenso battaglione mandato al massacro. E infatti tantissimi di loro hanno esposto le loro vite a rischi indicibili, ed hanno respirato per giorni e settimane veleni a profusione. Domanda: in virtù di quale principio etico lo Stato, che fino a prova contraria riceve sonore tasse dalla comunità, delega al buon cuore dei suoi cittadini la gestione degli eventi catastrofici? In questi giorni cade l’anniversario della disfatta di Caporetto: ebbene il battaglione dei volontari della Val Susa, come quelli sul Monte Morrone in Abruzzo, erano per me quei soldati italiani mandati al macello da Cadorna.
L'idea folle di uno Stato che non c'è più
L’idea che i servizi che rendono uno Stato civile possano essere appaltati alla generosità dei cittadini è folle. I volontari possono essere un supporto all’organizzazione pubblica, ma non avranno mai la forza di poter vincere una battaglia come quella di questi giorni contro le fiamme. Lo Stato in sfacelo nasconde la sua totale impossibilità di intervenire, la sua conclamata inutilità, dietro il coraggio e la generosità di poche centinaia di uomini e donne? I Canadair - che umiliazione sapere che sono dovuti arrivare dall'estero - vengono sostituiti da una legione straniera armata di zappe e rastrelli? Le giuste critiche che vengono mosse alle istituzioni locali sviano dai veri responsabili di questo degrado sociale. E, in generale, si può dire che la vera responsabilità di Regioni e Comuni è quella di non ribellarsi, di non denunciare la loro totale impotenza.
Natura fuori controllo, comunità senza risorse
Terzo punto: tutto questo accade mentre le condizioni climatiche sono fuori controllo. Questa estate sui monti abruzzesi si sfioravano i quarantacinque gradi. Ieri a Susa al mattino si passeggiava in maglietta: trent'anni fa in questo periodo cadevano i primi fiocchi di neve. Eventi naturali estremi si susseguono, la siccità ha reso il terreno un deserto che diventerà un immenso canalone, che trasformerà, senza ombra di dubbio, la prima pioggia in una alluvione. Ancor più nei territori colpiti dagli incendi. Siamo di fronte a un contesto che necessiterebbe di immense risorse pubbliche e in Europa vige il pareggio di bilancio. Si tratta di follia, oppure di una folle ideologia. Aspettiamo quindi la prossima catastrofe, per fare un po’ di selezione naturale: l’umanità galoppa verso un tempo barbaro, dove l’uomo temeva gli eventi naturali che falcidiavano la popolazione. Ma forse tutto è voluto.