Quella volta che Paolo Villaggio fece mangiare a De André un topo...
Una significativa intervista allo scomparso Paolo Villaggio, dove l’artista racconta del suo scetticismo radicale, verso la politica e la religione

ROMA – I pensieri e le parole di Paolo Villaggio sono dissacranti, ammantati di una vena tragicomica – a volte onirica – ma lucide sentenze rispecchianti la cruda realtà. E lo si evince dalle sue stesse parole, in un’intervista di Francesco Sala, pubblicata su ilgiornaleoff.it. Sono parole demistificanti, che mostrano uno «scetticismo radicale, verso la politica e la religione», ma che fanno anche sorridere. Certo, spesso a denti stretti. Ma dopo ci devi anche pensare su. E l’intervistatore, in questo caso, è costretto a farlo da subito, perché la prima domanda gliela pone Villaggio, e non lui. Quando infatti gli chiede quanti anni ha, e lui risponde 40. L’artista scomparso ricorda che un tempo questa era la mezza età, la «metà strada», mentre oggi è l’inizio perché sono sempre più i «vecchi che non mollano».
E De André si mangiò un topo
Non è una nuova versione della filastrocca e canzone ‘Alla fiera dell’est’ dove è il gatto a mangiarsi il topo, ma un episodio reale – che sa molto di fantozziano per la verità – in cui il grande amico di Villaggio e noto (e già scomparso) cantautore genovese Fabrizio De André pare si sia mangiato lui un topo. A raccontarlo è lo stesso Paolo Villaggio che, nell’intervista, chiede all’interlocutore se gli interessa sapere come il cantautore lo fece per scommessa. Da ragazzi, racconta Villaggio, la notte erano soliti andare a trovare un uomo paralizzato, che loro chiamavano ‘il paralitico’. Quella sera i due, insieme a Gigi Rizzi (l’unico che, secondo Villaggio, era benestante) e a due ragazze «bruttine», si recarono dal paralitico. La casa di questi aveva «una porta-finestra che dava su un giardinetto fetido». Dopo un po’ che erano lì, sentono «un raspìo alla porta-finestra in legno». Subito dopo appare un gatto nero che, alzandosi sulle zampe, vomita un grosso topo. Tra lo sconcerto dei presenti, le urla di orrore delle ragazze, De André stupisce tutti con la frase: «Questo topo, se mi date ventimila lire, me lo mangio!». Rizzi (che c’aveva i solti) risponde: «Te li dò io!».
Detto, fatto. Sotto gli sguardi disgustati dei presenti, Fabrizio De André trattiene il fiato e poi «si abbassa, morsica la coda del topo e la succhia come uno spaghetto cinese». Ma si ferma lì, e dice «Non lo mangio tutto perché non ho appetito!». Questo bastò, e prese le ventimila lire della scommessa, invita tutti a cena – ma «in un posto poco raccomandabile, frequentato da portuali e prostitute chiamato ‘Il Ragno verde’ e ordina un piatto di fagioli con le cotiche. Vomitò. Il topo l’ha digerito, le fagiolane con le cotiche, no!».
Le serate al Derby
Al Derby di Milano si sono formati molti comici e artisti, dei quali diversi sono divenuti anche famosi. Per citarne alcuni: Enzo Jannacci, Cochi Ponzoni e Renato Pozzetto, Lino Toffolo, Felice Andreasi… e naturalmente Paolo Villaggio. A condurre il gioco pare fosse Jannacci, così racconta Villaggio, il quale lo coinvolse una sera, dopo una trasmissione Tv, in cui propose a Villaggio di fare delle serate al Derby, per le quali gli avrebbe offerto ben ventimila lire a sera. Villaggio, che nel frattempo aveva iniziato a lavorare con Maurizio Costanza, prevedeva invece un guadagno di mille lire a serata. Qui, Villaggio iniziò a delineare i personaggi che l’avrebbero caratterizzato: grotteschi, molto dimessi o surreali. «Io presentavo con un tono afflitto – spiega Villaggio – ‘Adesso, presenterò un numero ripugnante!’ e questo faceva ridere. La televisione si toglieva finalmente la maschera della bontà, del perbenismo».
Niente maestri
Molti artisti citano o hanno citato quelli che per loro sono stati un esempio, dei maestri. Ma così non fu per Paolo Villaggio, da sempre artista e comico sui generis. Come dichiara lui stesso, per sé e Fabrizio De André non ci sono stati maestri. Loro erano cresciuti assieme e usavano «l’arma del paradosso, dell’antiretorica», che era poi «lo stesso linguaggio usato al Derby». «Io dicevo: ‘Signore e signori, sono in grande imbarazzo, non so che cazzo fare!’», e gli applausi scrosciavano.
Icone del proprio tempo
I personaggi creati da Paolo Villaggio: Fracchia e Fantozzi (specie quest’ultimo) passeranno alla storia e vi rimarranno probabilmente per l’eternità. Ma sono specchio del proprio tempo: quello in cui sono stati creati e figli della società che raccontavano. Oggi, in un mondo sempre connesso, fatto di social, messaggini e tanta virtualità, la comicità ‘carnale’ non avrebbe più successo – anche perché molte delle gag su cui si fonda non verrebbero capite dalle nuove generazioni, quelle che non hanno conosciuto i telefoni a muro, le macchine da scrivere, la Tv in bianco e nero, i dischi in vinile e le musicassette… Insomma che non hanno vissuto quei tempi o poco dopo la rivoluzione tecnologica. Oggi, come ammette lo stesso Villaggio, «Fracchia e Fantozzi sarebbero tagliati fuori. […] Fracchia e Fantozzi appartengono a un’altra era. […] Avevamo una memoria prodigiosa, facevamo le gare a memorizzare i numeri di telefono. Oggi c’è la rubrica sul telefonino».
I Social: una setta
Oggi, come si sa, sono tutti attaccati al telefonino, anche quando si è in compagnia. Si è con gli altri ma si è soli. «Oggi si usa il cervello in un’altra maniera», spiega Villaggio. Siamo tutti dipendenti dall’essere sempre connessi e, riflette poi Villaggio, se poi domandi a una ragazza «cosa fanno la sera in televisione, lei tira fuori il telefonino e ti risponde. Credo che l’uso di quello che lei chiama social network sia invece una vera e propria setta».
Viviamo in una dittatura mascherata
Ricordando Pier Paolo Pasolini, Paolo Villaggio aveva detto: «Viviamo in una sottile dittatura, strisciante, subdola, quella del pensiero unico». E così, alla domanda dell’intervistatore, risponde che un tempo c’erano meno dittature. La società, la Tv, lo sport… in tutti i campi sono proposti del ‘modelli’ di vita, di comportamento – quando non anche di pensiero. «È una dittatura occulta, che ti impone dei comportamenti e tu li subisci. Non è pericolosa». Allo steso modo, in politica e nella cultura un tempo c’era un’egemonia culturale della Sinistra. In questo clima era prassi comune dire cosa leggere, cosa andare a vedere, quale spettacolo era ‘in’ e quale ‘out’. Ma, metafora del dire ‘No’, si è eretto un personaggio che «ha avuto il coraggio di gridare contro la Corazzata Potëmkin!». Fantozzi. L’unico che, «finalmente criticava questa imposizione: doversi travestire da tutti».
Una falsa libertà
Quella predicata allora dalla sinistra, secondo Villaggio, non era libertà ma «una cultura modificata dagli intellettuali che erano, bada bene, tutti travestiti da estrema sinistra». Un atteggiamento che ha prodotto «una manipolazione della Cultura», e lo ha fatto con un certo tono di supponenza.
Oggi poi, non c’è più interesse per la cultura: si legge poco (a parte i messaggi sul telefonino), e non si sa nulla della storia recente. Il consenso, secondo Villaggio, si cerca con la banalità: «Il Papa e Renzi sono il trionfo dell’ovvio», dice Villaggio. «Questo Papa si affaccia alla finestra e dice: ‘Buon pranzo!’ Dice cose ovvie! Renzi e il Papa non possono essere completamente normali e buoni. Il politico si maschera da buono perché cerca il consenso. I grandi buoni oggi si vergognano della loro bontà».
Gli italiani? Poveri. Soprattutto di interessi
Per Paolo Villaggio gli italiani sono pigri, e poveri. Soprattutto «poveri di interessi». Nella storia, ci ricorderanno per aver creato la Mafia – ironizza Villaggio – per aver «esportato Cosa Nostra». Così la mediocrità vive e vegeta, specie nel mondo dello spettacolo che, oggi, «sembra la regola. Anzi, è richiesta…». «Una certa mediocrità arriva dovunque – avverte Villaggio – Se usi il linguaggio di Pasolini non riusciresti ad avere i grandi numeri, forse non vai da nessuna parte». Ed è vero.
Berlusconi: «Questo è pazzo!»
Paolo Villaggio ricorda anche Silvio Berlusconi, conosciuto all’inizio della sua ‘carriera’ sulle navi. Il futuro patron di Mediaset, secondo Villaggio, invece non era «mediocre» era «credibile». Berlusconi, rammenta Villaggio, «era nato con l’idea di fare fortuna nella vita. Diceva: ‘Ragazzi, qui perdiamo tempo! Noi dobbiamo affittare un capannone vicino Milano e fare noi una televisione privata!». Villaggio e De André lo fissavano e poi, facendo roteare il dito vicino alla tempia si dicevano: «Questo è pazzo!». Ma Berlusconi lo ha fatto davvero e, oggi, il suo lavoro è nelle case di tutti.
Il suo funerale
Alla domanda di come immaginava il suo funerale, Villaggio è lapidario: ha deciso di non farlo. Teme infatti che ci sia qualche defezione. A parte quelle inevitabili, come gli amici già scomparsi Vittorio Gassman, Fabrizio De André, Federico Fellini ha timore che non ci sia Roberto Benigni. Qualcuno pare gli avesse promessi di parlare, al suo funerale: Walter Veltroni e Francesco Rutelli, per esempio. «Giancarlo Giannini ho paura che non venga e quindi il funerale non lo faccio». E poi, anche in questa occasione emerge il fatalismo del ‘ragioniere’: «Vengono solo quelli che non sanno dove cazzo andare. Consiglio finale ai nonni: cercate di diventare ricchi se non volete essere abbandonati sull’autostrada!».
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