«In Libia non possiamo più perdere tempo»
Parole dure e gravi, quelle di Gentiloni alla Camera. Parole che hanno sottolineato l'urgenza di intervenire perseguendo la via diplomatica e politica. Perché, ha dichiarato tra le righe il ministro, la comunità internazionale deve ritenersi parzialmente responsabile dell'attuale crisi, e deve astenersi da avventure e crociate. In tutto ciò, ha assicurato Gentiloni, l'Italia sarà in prima linea.
ROMA - In Libia, Paese dove le istituzioni «sono praticamente fallite» e l'avanzata dei terroristi dello Stato Islamico pone «potenziali gravi ripercussioni» non solo per l'Italia, «la situazione si aggrava e il tempo a disposizione non è infinito». E' perentorio e grave, il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni, durante l'informativa del governo alla Camera sui recenti sviluppi della situazione in Libia. Un'informativa rivolta ad un'aula semivuota, ma pur sempre urgente.
GENTILONI: NOSTRA FORZA È UNITÀ - «Dobbiamo essere chiari sulla situazione che si sta sviluppando», ha detto il capo della diplomazia italiana, «Mentre il negoziato muove questi primi passi, la situazione si aggrava, il tempo a disposizione non è infinito e rischia di scadere presto pregiudicando i fragili risultati raggiunti». Il ministro ha poi sottolineato che non è tempo né di «avventure», né di «crociate», di fronte alla minaccia del terrorismo - che tocca da vicino anche l'Italia con l'avanzata dello Stato Islamico in Libia -, perchè la «nostra forza è la nostra unità».
IN PRIMA FILA CONTRO IL TERRORISMO - «Dire che siamo in prima fila contro il terrorismo», ha continuato il capo della diplomazia italiana alla Camera, in risposta alle critiche giunte dalle opposizioni in questi giorni, «non è l'annuncio di avventure, tanto meno di crociate: è quello che stiamo facendo nella coalizione militare anti-Daesh, in Siria e in Iraq. E' il modo in cui un Paese democratico risponde alla barbarie e lo fa in amicizia con la stragrande maggioranza della comunità islamica, che rifiuta di veder sequestrata la propria fede». Gentiloni, insomma, ha spinto questa mattina per una soluzione politica e diplomatica della crisi, dopo che per giorni era stato accusato, insieme alla collega Pinotti, di un'accelerazione sulla via militare. Soluzione politica, sì, ma anche un'Italia in primissima linea in tutte le operazioni: «Siamo pronti - ha detto il ministro - a contribuire al monitoraggio del cessate il fuoco, al mantenimento della pace, a lavorare per la riabilitazione delle infrastrutture, per l'addestramento militare, per sanare le ferite della guerra e a riprendere il vasto programma di cooperazione sospeso la scorsa estate a causa del conflitto». Un'Italia che, dopo l'onta del 2011, vuole oggi riscattarsi agli occhi della comunità internazionale, e ricoprire un ruolo di riferimento per la risoluzione della crisi.
SITUAZIONE IN LIBIA CAUSATA DAGLI ERRORI DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE - La situazione in Libia, ha puntualizzato il ministro, «si presenta oggi con un grave deterioramento del quadro di sicurezza, evidenziato con l'attacco all'Hotel Corinthia, da ripetute incursioni in campi petroliferi e da ultimo dalla barbara uccisione di 21 cristiani-copti a Sirte: tale quadro ci ha portato a decidere la chiusura della nostra ambasciata, l'ultima rimasta aperta a Tripoli». Parole gravi, che non rifuggono dall'interrogarsi su tutte le responsabilità del caso: la causa della crisi, ha dichiarato infatti il titolare della Farnesina, va «ricercata negli errori compiuti anche dalla comunità internazione nella fase successiva alla caduta di vecchio regime». Un esplicito nostra culpa rispetto ai fatti del 2011, colpevoli, con l'eliminazione di Gheddafi, di aver scoperchiato un'autentica polveriera; colpevoli, soprattutto, di non aver saputo immaginare un post-Gheddafi, e di aver lasciato la popolazione in balia delle lotte tribali e del fondamentalismo.
POTENZIARE TRITON - Infine, Gentiloni ha toccato anche un tasto amaro, quello dell'immigrazione, chiedendo un potenziamento dell'ormai tanto vituperata operazione Triton. «Non possiamo voltarci dall'altra parte, lasciando i migranti al loro destino: non sarebbe degno della civiltà che ha fatto grande l'Italia. L'Europa è una superpotenza economica: può andare oltre i 50 milioni l'anno che oggi vengono spesi per fronteggiare questa emergenza», ha concluso perentoriamente. Dichiarazioni destinate a sollevare molte polemiche, specialmente dal fronte leghista, da sempre contrario a mettere in campo operazioni di salvataggio accusate di incentivare le partenze e arricchire i trafficanti.
COLLOQUIO TELEFONICO GENTILONI-KERRY - D'altronde, proprio ieri il ministro Gentiloni ha avuto, in tarda serata, un colloquio telefonico con il segretario di Stato americano John Kerry. Nel corso del colloquio - informa una nota della Farnesina - i responsabili per la politica estera di Italia e Stati Uniti hanno discusso dell'evoluzione della crisi libica. Una crisi che, come ha puntualizzato il ministro italiano, deve essere urgentemente affrontata dalla comunità internazionale. Al momento, sembra che Europa e Usa si schierino apertamente per una soluzione politica, in opposizione alla richiesta egiziana al consiglio di sicurezza dell'Onu di autorizzare l'intervento militare nello stato nordafricano sconvolto dalla guerra. Il presidente Abdel Fattah al-Sisi ha detto che «non c'è scelta» se non quella di creare una coalizione globale per combattere gli estremisti islamici in Libia, dopo che il Cairo ha lanciato una serie di attacchi aerei per rispondere alla decapitazione di 21 cristiani copti egiziani da parte dell'emilizie jihadiste.
OGGI CONSIGLIO SICUREZZA ONU - La questione verrà affrontata dal Consiglio di sicurezza Onu di oggi, previsto per le ore 15, su richiesta del ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry, che vuole un «pieno sostegno» e l'autorizzazione all'uso della forza contro i jihadisti in Libia. In proposito, Gentiloni ha espresso la speranza che il Consiglio sancisca definitivamente l'opportunità di cercare una soluzione diplomatica alla crisi: «Dalla riunione del Consiglio di sicurezza di oggi sulla Libia ci attendiamo la presa di coscienza al Palazzo di vetro della necessità di raddoppiare gli sforzi per favorire il dialogo politico». I Paesi arabi si sono invece detti favorevoli all'intervento militare, pur sottolineando che l'invio di una forza militare richiede l'assenso del governo libico. Assenso abbastanza difficile da ottenere, visto che in Libia oggi siedono due parlamenti e due governi rivali, uno con legami con gli islamisti, l'altro riconosciuto dalla comunità internazionale. I Paesi occidentali sembrano aver preso le distanze dalle richieste egiziane, affermando che il tentativo negoziale sotto l'egida Onu è la «migliore speranza» per la pace. In una nota emessa ieri sera, Italia, Usa, Gran Bretagna, Francia, Germania e Spagna affermano che la decapitazione dei copti «sottolinea ancora una volta l'impellente necessità di una soluzione politica del conflitto, la cui prosecuzione va a beneficio esclusivo dei gruppi terroristici, ISIS compreso». I Paesi occidentali annunciano che l'inviato Onu per La Libia Bernardino Leon «convocherà nei prossimi giorni delle riunioni per coagulare ulteriore sostegno da parte libica ad un governo di unità nazionale». Insomma, in mezzo a tanti dubbi e tante domande senza risposta, per ora l'Occidente sembra innanzitutto persuaso di una cosa: è necessario non ripetere gli errori del 2011. Errori a cui - come ha ammesso lo stesso Gentiloni - può imputarsi, in ultima istanza, la crisi a cui siamo di fronte.