I tentacoli della 'ndrangheta, dal Lazio all'Emilia Romagna
A Roma un blitz della Squadra mobile ha stanato il latitante Domenico Antonio Mollica. Tra Emilia Romagna, Lombardia e Calabria la maxi operazione Aemilia ha portato all'arresto di oltre 160 persone, evidenziando il radicalizzarsi dell'organizzazione mafiosa calabrese nell'economia e nelle istituzioni del nord Italia.
ROMA - Basta un santino della Madonna di Polsi per capire di cosa si sta parlando. Lo 'ndranghetista, Domenico Antonio Mollica, quarantasettenne latitante da venti giorni è stato arrestato questa mattina dagli uomini della Squadra mobile di Roma. Terzo nella lista del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Roma alle sbarre per i reati di intestazione fittizia di beni aggravata dal metodo mafioso, commessi per favorire la 'ndrangheta operante nella capitale per il controllo delle attività illecite sul territorio.
IL SEGUITO DI MAFIA CAPITALE - Un blitz degli agenti della Squadra mobile di Roma ha scovato l'uomo, nascosto in una mansarda alla quale si accedeva tramite una botola. Mollica era sfuggito all'esecuzione della misura restrittiva della libertà personale il 9 gennaio, seguita all'operazione della Dda di Roma «Fiore calabro». Mollica non era andato lontano: si nascondeva, infatti, nel sotterraneo della sua abitazione. Gli agenti della Dda, convinti della presenza dell'uomo nella sua abitazione, si sono serviti dell'aiuto dei vigili del fuoco per perlustrare a fondo il domicilio dello 'ndranghetista. Prese d'aria esterne hanno insospettito agenti e vigili del fuoco, persuadendoli ad abbattere il solaio: «Scendo, scendo!». La voce del latitante è risuonata dalla soffitta al secondo colpo. Un armadio a muro mascherava l'accesso al nascondiglio, una botola nella quale il ricercato si è calato con una corda appesa all'architrave del tetto per uscire. Nel sottotetto il locale, la canna fumaria a riscaldarlo e la Madonna di Polsi a proteggerlo. Quella stessa Madonna che, nel suo santuario, sito nel cuore dell'Aspromonte, vede, ormai da decenni, svolgersi la celebre adunanza annuale della 'ndrangheta: i boss, provenienti da ogni parte d'Italia e del mondo, si riuniscono il 2 settembre ai piedi della Madonna, per stringere nuove alleanze e progettare strategie criminali.
OLTRE LA CALABRIA - Che la 'ndrangheta avesse superato i confini regionali lo si era capito bene con la strage di Duisburg, nel ferragosto del 2007, quando si consumava l'ultimo atto della faida di San Luca, che dal 1991 vedeva mietere morti nelle 'ndrine Nirta-Strangio da una parte e Pelle-Vottari dall'altra. Oggi basta guardare la cronaca quotidiana per rendersi conto che la criminalità organizzata calabrese è permeata in buona parte dello stivale. Superato il tabù della mafia al nord, si torna a parlare di arresti in ambito mafioso, si torna a parlare di 'ndrangheta in Lombardia.
IL NORD ITALIA INFETTO - 117 persone sono state arrestate, 46 fermate. Oltre 160 persone in tutta Italia sono finite nel mirino della maxi operazione attraverso cui la giustizia ha inferto alla presenza mafiosa al nord un «colpo storico», come annunciato dal procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, a Bologna oggi per presentare l'operazione. «Gli arresti degli oltre 160 soggetti, per centinaia di capi d'imputazione – ha affermato il ministro dell'Interno, Angelino Alfano – dimostrano ancora una volta lo straordinario lavoro delle forze dell'ordine e della magistratura nel contrasto al crimine organizzato».
4 ANNI DI OPERAZIONE «AEMILIA» - Concorso esterno in associazione mafiosa, ma anche estorsione, minacce, usura e bancarotta fraudolenta. Questi i capi d'accusa per le circa 200 persone imputate, di cui 68 risultano essere affiliati alla Grande Aracri, 'ndrina potente operante non solo in Calabria, ma in Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Germania. E si chiama proprio «Aemilia» l'inchiesta che dal 2010 ha messo a soqquadro le regioni del nord Italia per ricostruire la trama intricata della rete mafiosa. Nel mirino degli inquirenti decine di imprese riconducibili alla ’ndrangheta operante fra Emilia, Mantovano e Cremonese, inizialmente, come segmento della 'ndrina diretta da Nicolino Grande Aracri cutrese, ma presto indipendente dalla stessa e operante in autonomia. Un nuovo nucleo che aveva pensato bene di 'giovarsi' del terremoto che nel 2012 aveva fortemente colpito la regione per accaparrarsi gli appalti della ricostruzione, appalti di movimento terra e edilizia. La nuova cosca si muoveva, però, coadiuvata da una fitta rete imprenditori, politici e professionisti, tutti insospettabili. Il gip Alberto Ziroldi scrive nella copiosa ordinanza – sfiora le 1.300 pagine –: tra Parma, Reggio Emilia e Modena è attiva «da oltre un ventennio una cellula ’ndranghetista di derivazione curtense che, attraverso un processo di progressiva emancipazione rispetto alla cosca, ha guadagnato in autonomia e autorevolezza sul piano economico-finanziario, mantenendo sostanzialmente inalterata la cifra della propria capacità di intimidazione, e peraltro adeguata al mutato ordine delle cose».
LE ORIGINI - Tutto risale agli anni Ottanta, quando il boss calabrese Antonio Dragone veniva confinato in Emilia Romagna. Non passa molto tempo e «l'uomo d'onore» non solo mette radici, ma inizia a tessere la sua tela, fra Cutro e l'Emilia costruisce il suo nuovo regno. Tra la fine degli anni Novanta e i primi del nuovo millennio una faida uccide 12 persone tra Calabria e reggiano, un'altra tra la famiglia del boss e i Vasapollo, 'ndrina locale. Il capobastone Antonio Dragone muore in uno scontro nel 2004, ma i tentacoli della 'ndrangheta ormai si sono allungati su grosse fette dell'economia locale.
IL MARCIO NELLE ISTITUZIONI - La maxi operazione di oggi ha visto in manette non solo noti esponenti della criminalità organizzata e entourage annesso, ma anche personalità di spicco dell'imprenditoria e della politica locale. I pm parlano, infatti, di una «cosca infiltrata negli apparati istituzionali». Riferimento diretto a Nicola Sodano, sindaco di Mantova, indagato per corruzione.