Mollicone: «Non svendiamo all'estero anche i musei»
Non convince la decisione di Franceschini di pubblicare sull'Economist il bando per la selezione dei direttori di 20 tra i maggiori musei d'Italia. Per Federico Mollicone di Fratelli d'Italia, ciò rischia di svalutare il management nazionale, e umiliare la nostra classe dirigenziale che vanta ottimi professionisti
ROMA - Una decisione «che non fa altro che umiliare la nostra classe dirigenziale che ha ottimi professionisti»: questa, la critica senza appello di Federico Mollicone, Esecutivo Nazionale di Fratelli d’Italia e a lungo presidente della Commissione Cultura di Roma Capitale, in merito alla notizia della prossima pubblicazione sull’Economist, da parte di Franceschini, del bando che selezionerà i nuovi direttori dei 20 principali musei statali, dopo le recenti nomine delle direzioni generali. Il Ministro dei Beni Culturali, in piena attuazione di quanto previsto dalla riforma da lui varata, sarebbe intenzionato ad allargare all’estero la ricerca di coloro che saranno le guide di alcuni tra più importanti e prestigiosi musei d’Italia: dagli Uffizi alla Galleria Borghese, dalla Reggia di Caserta al Polo Reale di Torino.
INCOERENZA STRATEGICA E SVALUTAZIONE DEL MANAGEMENT NAZIONALE - E anche se la scelta, apparentemente, «può sembrare in linea con i dettami internazionali che invitano a una maggiore internazionalizzazione del management», spiega Mollicone, «viene però da chiedersi perché il management del MAXXI è stato dato a un ex ministro (Giovanna Melandri – ndr), e perché ci sono stati concorsi, anche a livello comunale, vinti da direttori interni, per quanto capacissimi»: a mancare, dunque, sarebbe «un’unica linea di interpretazione», che rende, a suo avviso, la decisione di Franceschini «demagogica». Ciò che meno convince l’esponente di Fratelli d’Italia, in pratica, è la circostanza per cui le recenti nomine dei nuovi direttori generali «sono avvenute a tavolino, all’interno del Ministero, secondo logiche che non sono esattamente trasparenti»: Mollicone si interroga, dunque, sul motivo per il quale non sia stata applicata anche a loro la medesima strategia internazionale di nomina. Senza contare, del resto, che una selezione di questo tipo, allargata fuori dall’Italia, «rischia di umiliare il nostro patrimonio culturale e monumentale, che dovrebbe essere valorizzato da chi più lo conosce. Quindi», prosegue, «è giusto applicare la ricerca del miglior management, ma sarebbe un paradosso se venisse un cinese a dirigere gli Uffizi».
PENALIZZATE ANCHE LE POLITICHE DI TUTELA? - D’altronde, in un periodo nel quale i beni culturali, vero e proprio tesoro del nostro Paese, sono sempre meno valorizzati – nonostante da più parti se ne invochi l’importanza quali possibili motori di ripresa – la sensazione dell’esponente di Fratelli d’Italia (e non solo) è che spostare all’estero la ricerca dei direttori significhi infliggere un altro duro colpo al nostro patrimonio umano nel campo. Più in generale, a far discutere è anche la norma, prevista dalla riforma, che prescrive la sparizione delle soprintendenze storico-artistiche, accorpate a quelle architettoniche: secondo gli addetti ai lavori, l’intento sarebbe quello di spingere più sulle politiche di valorizzazione che su quelle di tutela. A tale critica, Franceschini ha risposto che i musei hanno bisogno di essere guidati da persone che sappiano soprattutto di gestione. Eppure, anche lo storico Carlo Ginzburg aveva, qualche tempo fa, rivolto un appello al Ministro, spiegando che il ridimensionamento delle competenze delle soprintendenze rischia di causare danni alla tutela del patrimonio e del paesaggio, nonostante i sostenitori dell’«approccio-Franceschini» ritengano necessario un aggiornamento del nostro, obsoleto, sistema di tutela. Di quest’ultima scuola, gli otto soprintendenti dell’Archivio di Stato, che, firmatari di un documento intitolato con lo slogan «Perchè opporsi?», sostengono che la decisione di Franceschini vada «nella giusta direzione». Una questione certamente complessa, specialmente in un Paese come l’Italia, colpevole di non saper valorizzare – o addirittura di lasciar cadere in rovina – un patrimonio artistico inestimabile. Con cui, per citare l’ormai nota massima di Tremonti, i nostri «cervelli» sembrano destinati a non «mangiarci» mai.