29 marzo 2024
Aggiornato 05:30
Il ddl si arena

Diffamazione, niente salvagente per Sallusti

La legge sulla diffamazione «è su un binario morto»: la giornata a palazzo Madama è sintetizzata efficacemente da questo commento di Filippo Berselli, presidente della commissione Giustizia del Senato e relatore del provvedimento, affossato in aula da un voto segreto che reintroduceva il carcere per i giornalisti

ROMA - La legge sulla diffamazione «è su un binario morto»: la giornata a palazzo Madama è sintetizzata efficacemente da questo commento di Filippo Berselli, presidente della commissione Giustizia del Senato e relatore del provvedimento, affossato in aula da un voto segreto che reintroduceva il carcere per i giornalisti.

L'emendamento della Lega ha raccolto ufficialmente solo il consenso dell'Api, ma i 131 senatori che lo hanno approvato vanno ben oltre la potenza di fuoco dei due gruppi interessati. E' saltato così l'accordo politico che Berselli aveva definito «blindato», dopo l'ok al nuovo testo da lui proposto in commissione e dopo che lui stesso aveva dato parere favorevole su sei emendamenti che andavano incontro ad alcune osservazioni dell'aula. Viene a mancare, come ha spiegato ai cronisti lo stesso Berselli, il salvagente per il direttore del Giornale Alessandro Sallusti, condannato in via definitiva a 14 mesi: se la nuova legge non esclude in toto la reclusione, non può annullare gli effetti di una sentenza passata in giudicato.
Per l'esponente del Pdl si è trattato «di un voto trasversale contro la stampa, un voto di pancia e non di cervello, perché a questo punto rimarrà la norma attuale». Il presidente del Senato Renato Schifani era accorso in aula, nel pomeriggio, dopo la presentazione di una richiesta di voto segreto su alcuni emendamenti della Lega e del'Api e sul complesso del'articoo 1.
Ma dopo il voto segreto sulla proposta del Carroccio non ha potuto fare altro che chiedere ai gruppi se ritenessero opportuna una «riflessione». Riflessione che, con il solo dissenso di Lega e Api, è stata poi affidata a una conferenza dei capigruppo convocata per oggi alle 12.30. Ma «la capigruppo non può certo rimandare il testo in commissione per un nuovo esame», ha ammonito Berselli.

Finocchiaro: Far morire ddl, è vendetta contro stampa - La legge sulla diffamazione a mezzo stampa «va bloccata» e il voto di ieri al Senato che ha ripristinato il carcere per i giornalisti è «una rappreseglia contro la libertà d'informazione». Lo afferma, in una intervista a 'Repubblica', la presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro secondo la quale all'origine del 'pasticcio' «c'è un sentirsi della politica sotto attacco a cui si è reagito in modo sbagliato e anche arrogante».

Rutelli: Carcere per chi diffama non è incivile - «Abbiamo votato un emendamento ineccepibile perchè oggi si stabilisce che solo per diffamazioni particolarmente gravi ci sia il carcere ma in alternativa alla pena pecuniaria. Credo sia una delle leggi più favorevoli alla stampa che esistano in Europa». Il leader dell'Api Francesco Rutelli difende, in una intervista alla 'Stampa', il sì del Senato, con voto segreto, al carcere per i giornalisti che diffamano.
«Fino a tre anni di reclusione non si va in galera - spiega -. Che cosa deve fare uno per finirci? Diffamare ripetutamente e gravemente e scegliere di non pagare la pena pecuniaria. Forse dovreste rendervi conto che con questa legge, che comunque è da completare, in carcere non ci si finisce più. In carcere in Italia, dopo Giovannino Guareschi, in 60 anni non ci è andato nessuno». E aggiunge: «Lino Jannuzzi ebbe la grazia anche col mio appoggio. E sono disposto ad appoggiare anche la grazia per Alessandro Sallusti, se è questo il punto». Il carcere, insiste Rutelli, «non è incivile se si ha fiducia nella magistratura», «è previsto in tutta Europa», «incivili sono le diffamazioni». Rutelli ribadisce di «averci messo la faccia» sull'emendamento della Lega, «molti altri zitti, e poi l'emendamento l'hanno votato. Francamente mi sono rotto le scatole che queste cose passino per voto segreto, e infatti stavolta non ho firmato la richiesta».