25 aprile 2024
Aggiornato 05:30
Un pasticcio brutto per il Presidente del Consiglio

L'Ira di Berlusconi su Tremonti. E avanza lo spettro del complotto

Premier: «Sul rendiconto incidente tecnico, no a trame di palazzo». La parola d'ordine nella maggioranza è «ridimensionare»

ROMA - Un pasticciaccio brutto. E il destino ha voluto che il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, entrasse nell'Aula della Camera giusto in tempo. In tempo per vedere la maggioranza sgretolarsi sull'articolo uno del Rendiconto generale dello Stato. Basterebbe quella faccia scura a descrivere il suo stato d'animo. O ancora il gesto di stizza fatto quando è passato accanto a Giulio Tremonti. Perchè il ministro dell'Economia in Aula c'era, ma non ha votato. E sarebbe bastato un voto in più. Il suo o quello di Umberto Bossi, anche lui 'avvistato' a Montecitorio ma assente al voto.
Eppure la versione ufficiale dice che si è trattato di un «problema tecnico» e nulla più e che in quanto tale «si può risolvere». Ma nessuno di coloro che hanno raccolto gli sfoghi del premier nega un fatto: e cioè la rabbia nei confronti del titolare dell'Economia e i sospetti sull'asse del Nord con Umberto Bossi. Tremonti smentisce con una nota, elaborata con Gianni Letta, che la sua sia stata un'assenza politica.

Adesso, certo, la priorità è cercare di riparare il danno. Domani si riunisce la Giunta del Regolamento e nella maggioranza si valutano varie ipotesi. Si potrebbe presentare un maxiemendamento oppure procedere con la votazione sul testo e poi chiedere la fiducia su un discorso programmatico del premier alla Camera. O ancora, ma per questo servirebbe il 'concerto' del Colle, ripresentare il ddl. Tutte opzioni che tuttavia prevedono una richiesta di fiducia, prima o poi. L'obiettivo insomma è dare una risposta non solo tecnica ma anche politica a chi sostiene, l'opposizione al completo, che Berlusconi a questo punto dovrebbe presentarsi dimissionario. Ma anche un modo per dare un 'segnale' al Quirinale che segue la situazione con massima vigilanza.

Insomma, la parola d'ordine è tentare di «ridimensionare» e di scacciare gli spettri di chi, mettendo in fila i nomi degli assenti, comincia a intravedere i contorni di qualcosa che somiglia a un complotto: Tremonti, Bossi, Scajola e tre suoi fedelissimi, e i «Responsabili» Guzzanti, Pionati e Scilipoti. E poi c'è il voto contrario di Calogero Mannino, altra novità sgradita dalle parti di Palazzo Grazioli.
D'altra parte l'incontro tra il premier e l'ex ministro dello Sviluppo economico ha forse migliorato l'aspetto umano del rapporto, ma poco avrebbe spostato le rispettive posizioni politiche. Al punto che i cosiddetti scajoliani, non soltanto continuano a elaborare il documento, ma valutano anche l'ipotesi di gruppi. Ad alcuni osservatori attenti, inoltre, non sarebbe sfuggito che oltre all'assenza di quattro fedelissimi del politico ligure, si sarebbe sommata anche quella di esponenti che fanno riferimento ad aree ex An accomunate da un pressing sulla legge elettorale e in particolare per il modello spagnolo. Ma non è solo la Camera a preoccupare se è vero che Berlusconi oggi ha incontrato a palazzo Grazioli Andrea Augello, uomo di confine tra il Pdl e i frondisti di palazzo Madama. Non solo Pisanu e scajoliani, ma anche esponenti di spicco della ex Forza Italia come Marcello Pera.

Berlusconi annusa i timori, ma li respinge al mittente. Ai tanti che lo hanno contattato, così come a coloro che lui stesso ha chiamato non appena avuto notizia del malpancismo, il premier avrebbe spiegato di tenere in forte considerazione le loro motivazioni, ma di non avere nessuna intenzione di farsi da parte per favorire «trame di palazzo». «Se ne hanno il coraggio - continua a ripetere - mi sfiducino».