Bossi da Berlusconi: Riforme e maggioranza vere
La priorità è non lasciare Milano al «matto Pisapia»: no a Zingaropoli
ROMA - Il governo può andare avanti ma solo a patto che sulle riforme si passi dalle parole ai fatti perché «serve un progetto di cambiamento» che va condiviso fra Pdl e Lega e non solo deciso dal premier che dovrà anche garantire «una maggioranza vera e stabile» senza più «incidenti parlamentari» come quelli avvenuti ieri a causa delle defezioni in aula dei Responsabili. Umberto Bossi ha incontrato a Roma Silvio Berlusconi a palazzo Chigi, alla presenza di Giulio Tremonti e Roberto Calderoli, spiegando al premier le condizioni per proseguire l'alleanza. «Il governo non può non fare niente, bisogna fare delle scelte». Certo, «anche noi abbiamo fatto degli errori», ma ora «serve un progetto di cambiamento, servono le riforme», anche perchè è vero che «abbiamo fatto il federalismo fiscale»; ma questo «darà effetti solo tra qualche anno». E «questi problemi vanno affrontati adeguatamente». D'altra parte, ha avvertito Bossi, «la base della Lega sta dove sto io» e «siamo un partito abbastanza unito: qualche paura c'è, perché stare al governo deve portare le riforme».
Un segnale distensivo nelle forme («è andato tutto bene, l'ho sentito abbastanza sicuro. Quello che è avvenuto ieri non si ripeterà più», ha detto Bossi ai giornalisti, usando quasi le stesse parole dette da Berlusconi per rassicurare i ministri Pdl). Ma che nella sostanza è un rinvio al 30 maggio, a risultato del ballotaggio di Milano acquisito perchè la priorità della Lega ora è non far vincere Giuliano Pisapia.
Priorità così forte da far pubblicare alla Padania in prima pagina l'appello ai milanesi di Cattaneo in occasione delle 'cinque giornate' del 1848 per «ribellarsi all'agressore», ribattezzate per il ballottaggio Pisapia-Moratti «le dieci giornate di Milano». E che fa sferrare allo stesso Bossi strali all'indirizzo di Giualiano Pisapia: «Un matto - lo ha definito il leader della Lega- che vuole trasformare la città in una zingaropoli, riempirla di clandestini e di moschee». Contro il quale «la Lega si impegnerà e darà battaglia: non abbandoneremo la città nelle mani di questa gente».
Ma che quella siglata oggi con Berlusconi è solo una tregua e non un'intesa, lo ammette lo stesso Bossi sottolineando che «la verifica sul governo» che ci sarà all'indomani dei ballottaggi «va bene, se l'ha chiesta Napolitano». E, implicitamente, lo conferma il no del Senatur alle lusinghe che il Pdl avrebbe fatto circolare sulla possibilità di una 'promozione' a Vicepremier per Giulio Tremonti. «Abbiamo parlato di tutt'altro e di Milano in particolare». E ora non è tempo neanche di parlare di una premiership leghista affidata a Roberto Maroni: «lui - ha detto Bossi- è un uomo intelligente e capisce le cose, non pensa ora al dopo Berlusconi e non accetterà mai di fare il premier».
Dal fronte delle opposizioni, Bersani non crede alla possibilità di un rilancio di collaborazione fra Berlusconi e Bossi. «Il malessere nella Lega è profondo: l'alleanza è da tempo incrinata. Noi lanciamo una sfida alla Lega: non può stare con i piedi in due scarpe. L'alleanza di Governo per la ricostruzione fra tutti i moderati e i progressisti è più vicina».
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