29 marzo 2024
Aggiornato 08:00
Leggitimo impedimento

La difesa del Premier alla Consulta: nessun automatismo

Ghedini: «Speditezza processo? Va coniugata con la realtà del Paese»

ROMA - La legge sul legittimo impedimento non istituisce «nessun automatismo» per gli impegni del premier e dei ministri difeso dallo 'scudo' processuale che gli consente di chiedere il rinvio delle udienze nei processi in cui sono imputati. Questa è la linea principale su cui si è attestata stamani la difesa del presidente del Consiglio, rappresentata nell'udienza pubblica della Corte costituzionale dagli avvocati di Silvio Berlusconi Niccolò Ghedini e Piero Longo, ma anche da un altro punto di vista dall'Avvocatura dello Stato, per la quale ha preso la parola Michele Dipace. La camera di consiglio si riunirà per la decisione giovedì mattina alle 9.30.

Le tre ordinanze del Tribunale di Milano sulle quali si concentra l'udienza riguardano altrettanti procedimenti penali a carico di Berlusconi. I giudici, nelle diverse pronunce, hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale relativamente agli articoli 1 e 2 della legge sul legittimo impedimento, la 51/2009, per violazione dell'articolo 138 della Carta (quello che fissa le procedure per le modifiche alla Costituzione) e in un caso anche per violazione dell'articolo 3, che stabilisce l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.

Nel suo intervento il relatore, il giudice Sabino Cassese, ha sinteticamente riassunto il contenuto dei ricorsi e l'interrogativo di fondo, se cioè con la legge «residuano poteri di controllo da parte del giudice». Proprio quello che ha sostenuto Ghedini, secondo il quale la legge «si limita a tipizzare un impedimento» e il giudice dei tre procedimenti avrebbe dovuto verificare la fondatezza degli impedimenti addotti dal premier-imputato. Ghedini ha ricordato che nella macchina giudiziaria italiana «un rinvio di un mese o di tre mesi è fisiologico», quindi «il principio della speditezza del processo va coniugato con la realtà del Paese».

Anche secondo Longo la legge «non prevede nessun automatismo e non preclude al giudice al possibilità di chiedere qualunque delucidazione su quali siano le attività di governo» che creano l'impedimento alla presenza dell'imputato in udienza. Qualunque sia la ragione dell'impedimento, «salute, famiglia, lavoro, carica pubblica - ha argomentato l'avvocato di Berlusconi, richiamandosi alla giurisprudenza della Consulta - il dato assoluto è il diritto a difendersi che viene perseguito in via principale». L'Avvocatura dello Stato ha contestato in particolare la teoria secondo la quale la legge abbia creato una prerogativa costituzionale (ragione per cui viene eccepita la possibile violazione dell'articolo 138 della Carta): «L'intervento legislativo - ha sostenuto Dipace - è di natura processuale e non ha la finalità di garantire una funzione pubblica creando una immunità». Tuttavia, ha sottolineato, «nei casi di legittimo impedimento coessenziale all'espletamento di un impegno istituzionale concomitante all'udienza, il giudice non può fare alcun apprezzamento di merito e ha il dovere di rinviare la causa e di programmare un nuovo calendario delle udienze».