28 marzo 2024
Aggiornato 13:00
Editoriale

Berlusconi: ora il vero nemico è Bossi

Il senatur teme che il premier insegua un’intesa con tutti gli antifederalisti

ROMA - Altro che gioco del cerino, esercizio pericoloso ma dagli schemi semplici alla portata anche di un bambino, da ieri pomeriggio la partita è ritornata alla scacchiera. Con una differenza sostanziale rispetto alla sfida all’ultima pedina di quest’estate fra Berlusconi e Fini: ora i giocatori non sono più solo due, ma tre. E ognuno gioca solo per se stesso.
Tradotto vuol dire che la presa assunta ieri dal premier di «voler andare avanti» ha avuto l’effetto immediato della revoca da parte di Bossi di ogni delega in bianco affidata al Cavaliere.

Berlusconi delude Bossi
Che cosa abbia convinto Berlusconi a deludere il suo alleato più forte è presto detto.
Il Presidente del Consiglio, mettendo il freno alle elezioni anticipate richieste dalla Lega, ha ottenuto due risultati: ha evitato di doversi scontrare al Nord con i muscoli che egli stesso ha gonfiato a Bossi in questi mesi in cui ha lasciato al senatur il ruolo del duro nella coalizione, e ha ricordato al popolo della destra che chi comanda è ancora lui.
Naturalmente con questa mossa inaspettata Berlusconi si è assunto un rischio grosso. Quello di cadere nelle mani degli antibossiani, e di chi a parole afferma che il nemico pubblico numero uno sia Berlusconi, mentre nei fatti ha in mente un solo obiettivo, abbattere il federalismo, perlomeno così come lo intende la Lega.
Ora Berlusconi deve trovare in fretta due soluzioni: deve blandire gli antibossiani, convincendoli che è in grado di ridimensionare il progetto federalista della Lega e deve tenere buono Bossi, affinché il senatur si limiti a togliergli le deleghe in bianco, ma non decida di schierarsi apertamente contro di lui

I nemici del federlismo
Intanto bisogna vedere chi sono gli antibossiani.
In primo luogo Casini che non fa mistero di puntare ad un governo di salvezza nazionale guidato da Berlusconi.
E’ per questo che Bossi non lo vuole, tanto che recentemente, per redicere ogni ponte e togliere a Berlusconi ogni fantasia di andare a trattare con Casini, ha usato una parolaccia per definire di che pasta sia fatto il leader dell’Udc.
Passiamo a Gianfranco Fini: c’è qualcuno più antibossiano di lui? Lo è nel Dna, per i suoi trascorsi da fervente nazionalista, ma anche a causa degli interessi attuali: a chi si potrebbe rivolgere infatti il futuro partito dei futuristi ( se mai si farà) se non agli elettori del Sud spaventati dalla siccità che potrebbe abbattersi sulle loro tasche una volta che il federalismo fiscale chiudesse i rubinetti del Nord?
Non c’è dubbio che antibossiano sia inoltre quel magma indistinto del centro che va da Rutelli a Montezemolo, agli ex democristiani in servizio permanente effettivo, se non altro per la paura che la vittoria del federalismo alla Bossi finisca inevitabilmente per spodestarli dalla stanza dei bottoni delle banche.
Non è un caso infatti che ieri, prima dello stop di Berlusconi al voto anticipato, sia arrivato anche quello della Confindustria.

Le prossime mosse
Il risultato di tutta questa panna montata è che tutto è rinviato alla prossime due mosse.
La prima riguarderà la via d’uscita dai processi di cui ha bisogno Berlusconi. Una via d’uscita che gli antibossiani sono in grado di fornire al Cavaliere più agevolmente della Lega.
La seconda sarà il tipo di federalismo fiscale che prenderà corpo in Parlamento.
Certamente il federalismo alla Bossi non passerà se Berlusconi nel mentre avrà tessuto la sua tela con Casini e Fini.
E allora, o Bossi accetterà di dare una mezza fregatura ai suoi (cosa improbabile) o si tornerà, come al gioco dell’oca, alla casella iniziale, cioè all’ipotesi di elezioni anticipate.
Ma intanto Berlusconi avrà avuto il tempo per ricucire tutti gli strappi (anche quello con Bossi che lo ha accusato di essere diventato un «sor tentenna») che è stato costretto a subire negli ultimi mesi.

Il ruolo dell’opposizione
In tutto questo quadro, se la sinistra è del tutto assente e se in questi mesi non è stata capace di ritagliarsi nemmeno un angolino, una ragione c’è: sul federalismo il Pd è rimasto sempre a metà del guado e lì continua a rimanere poiché evita accuratamente di entrare nel vivo della madre di tutte le questioni politiche italiane.
Inoltre la sinistra non sa che pesci prendere anche su altre questioni vitali, a partire dalla svolta nelle relazioni industriali gettata sul tavolo dalla Fiat di Marchionne.
La sinistra che non sa che pesci prendere si è specializzata però ad impallinare immediatamente chi dei suoi dirigenti provi ad afferrarne uno.
Con il risulta di lasciare sempre più spazio a Di Pietro, ai Grillini e ora anche ai centri sociali.

Come andrà a finire
L’analisi non sarebbe completa se non contemplasse una variante dagli esiti imprevisti: Bossi, senza porre altro tempo in mezzo, potrebbe togliere la fiducia al governo bocciandolo ai primi appuntamenti parlamentari (qualsiasi fosse la natura degli argomenti trattati) o addirittura ritirando i propri ministri.
Tutto lascia pensare, però, che la partita a scacchi continuerà.