Crisi nel Pdl, i timori di Napolitano
«Necessità» richiamata nel corso dell’incontro con vertici Pd «nell’interesse generale del paese». Ma il Colle deve essere «estraneo alle questioni interne dei partiti»
ROMA - La crisi della maggioranza, al momento, è tutta politica e non parlamentare. E' qui, su questo dato di fatto, che per il Quirinale si infrange ogni chiamata in causa del presidente della Repubblica. Perchè proprio in base a questo principio la Costituzione attribuisce al Capo dello Stato il potere di intervenire qualora non ci sia più una maggioranza parlamentare. Ma solo allora. Giorgio Napolitano lo sa molto bene ed ora più che mai è attento a non farsi trascinare nel gorgo di una lotta politica dai contorni e dagli sviluppi ancora imprevedibili.
E' noto che Napolitano, soprattutto in un momento così delicato per l'economia internazionale, abbia più volte chiesto «continuità» e convergenza tra le diverse forze politiche su quelle scelte di «medio e lungo termine» che vanno nell'interesse generale e strategico del Paese. Alla luce di tutto questo non manca, dunque, la preoccupazione per il profilarsi di una situazione non facile che può produrre instabilità. Ma qui le considerazioni si fermano. Il presidente segue con attenzione l'evolversi del dibattito politico ma è determinato a ribadire una cosa: in questo momento il Colle non è un attore in campo.
Una determinazione così forte che oggi Napolitano nell'incontro con il segretario del Pd Pierluigi Bersani, la capogruppo al Senato Anna Finocchiaro e il presidente del gruppo alla Camera Dario Franceschini, ha sottolineato «la necessità di salvaguardare la continuità della vita istituzionale, nell'interesse generale del paese». L'incontro con gli esponenti dell'opposizione, spiega una nota, è avvenuto su loro richiesta. Davanti all'esigenza di un confronto in Parlamento sulla situazione politica, auspicato dai Democratici, il presidente della Repubblica ha messo in evidenza come ritenga «doveroso restare estraneo al merito di discussioni e decisioni interne ai partiti».
Per dirla con le parole di Emanuele Macaluso, voce molto ascoltata della sinistra, 'compagno' di corrente dentro il Pci di Napolitano e suo amico da una vita, «dal punto di vista formale la maggioranza è disarticolata, ma non è venuta meno e il Quirinale può intervenire solo quando si apra una crisi formale perchè è allora che il presidente può esercitare i poteri che la Costituzione gli assegna».
Qualora, però, il governo 'vada sotto' per il voto contrario dei 'finiani', che hanno promesso una lealtà vincolata a condizioni molto precise, la crisi si aprirà. E non è affatto scontato che per rispettare il mandato degli elettori, come ripetono di continuo i fedelissimi di Berlusconi, Napolitano debba affidare al Cavaliere e solo a lui il mandato di 'esplorare' la possibilità di un'altra maggioranza in Parlamento. C'è chi è pronto a citare l'ultimo esempio in ordine di tempo, quello del governo Prodi quando il compito fu affidato a Franco Marini e finì come noto. «Sarà il presidente della Repubblica - chiosa Macaluso - a decidere chi può raccogliere attorno a sè una maggioranza di governo e può benissimo non essere Berlusconi. Questa sì che è una scelta propria del Capo dello Stato, è lui che deve verificare se esiste un'altra maggioranza e lo farà come ritiene. La Costituzione non è stata cambiata».
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