18 aprile 2024
Aggiornato 04:00
Sperimentazione animale

I topi non hanno gene chiave della distrofia di Duchenne

Testato sui topi cockail di farmaci già utilizzati nell'uomo, per studio su distrofia di Duchenne

ROMA - La notizia degli incoraggianti successi nella ricerca, guidata dall'IRCCS «E. Medea» in collaborazione con ricercatori dell'Università di Milano, dell'Azienda Ospedaliera L. Sacco e dell'IRCCS San Raffaele e finanziata da Telethon, contro la distrofia muscolare di Duchenne (DMD) che, dopo i test sui topi, passa alla fase clinica della sperimentazione sull’uomo di un cocktail di farmaci desta non poche perplessità.

Dettagliati sviluppi scientifici hanno dimostrato chiaramente la non adattabilità del modello murino per lo studio di questa patologia, una malattia genetica caratterizzata dalla perdita della distrofina, proteina che provvede alla corretta stabilità meccanica del muscolo durante la contrazione.

Una ricerca inglese ha appurato, infatti, come due importanti caratteristiche di un gene chiave nella DMD siano presenti in quasi tutte le specie di mammiferi, uomo incluso, ma non nei topi e nei ratti, comprovando la erroneità del topo come modello di riferimento per lo studio della malattia.

L’induzione della distrofia muscolare nel topo, inoltre, è una pratica altamente invasiva, che vede migliaia di animali coinvolti in modificazioni fisiche permanenti, costretti a strisciare dolorosamente per tutta la vita aspettando la soppressione; spesso, purtroppo, queste procedure vengono autorizzate senza il ricorso ad anestesie, provocando livelli di sofferenza e violenza psichica inaccettabili dal punto di vista etico e scientifico, a fronte anche dell’inutilità dei dati prodotti.

«Il modello animale è solo il primo passaggio – commenta Michela Kuan, responsabile LAV settore vivisezione – l’iter di ricerca per la formulazione dei farmaci, che prevede un processo legato ad un vicolo legislativo cieco, cade nel doppio errore metodologico che vede prima la ricostruzione inattendibile della malattia umana su un topo e poi la prova della tossicità del farmaco su un animale, i cui risultati non sarebbero attendibili nemmeno per un con-specifico».

«Vista l’importanza scientifica della scoperta inglese, che esclude totalmente il ricorso a topi per investigazioni relative alla distrofia, e le implicazioni etiche – prosegue Michela Kuan – ci si chiede come sia possibile continuare ad autorizzare e compiere sperimentazioni animali, anche a fronte dell’ampia disponibilità di metodi alternativi, dell’avanzamento della genetica e dello studio dei meccanismi molecolari in cellule e tessuti umani».