28 agosto 2025
Aggiornato 08:00
Editoriale

Riforme: Arcore non è Teano

Dall’incontro fra Berlusconi e Bossi l’indicazione degli obiettivi per una alleanza senza dominatori

Berlusconi e Bossi si incontrano ad Arcore per la prima volta dopo il risultato delle Regionali.
Sarà interessante vedere chi dirà «obbedisco», come fece Giuseppe Garibaldi di fronte allo stop che gli impose Vittorio Emanuele II sulle fatali sponde del Volturno.
Molti nel Pdl si aspettano che ad obbedire sia Umberto Bossi richiamato ai suoi doveri di socio di minoranza dal premier.
Gli uomini di Gianfranco Fini non solo se lo augurano ma anche lo pretendono. Sul «Magazine» online di Farefuturo, la fondazione che fa capo al Presidente della Camera, Filippo Russo chiede al Pdl: «Se ci sei batti un colpo».
Il colpo, secondo l’entourage di Fini dovrebbe risuonare stasera proprio nelle stanze di Arcore e a batterlo dovrebbe essere il Cavaliere.
Sul versante della Lega nessuno ardirebbe di sentirsi dire da Berlusconi un «obbedisco», ma i colonnelli di Bossi debbono ritenere che sia giunto il momento di mettere qualche puntino sulle «i», se il più decorato fra loro, ed anche solitamente uno dei più cauti, ha detto senza mezzi termini che per fare il presidenzialismo ci vuole qualcuno che coordini: «poiché la Lega è il motore- ha detto il ministro dell’Interno- è quindi giusto che ad essa spetti la regia».
«Se questo governo vuole passare alla storia deve stare con noi», ha aggiunto Maroni con un’enfasi che non gli abituale. Infine scherzando (ma non tanto) ha ricordato che il prossimo anno non è solo il sindaco di Milano ad entrare in scadenza, ma anche quello di Napoli. «Forse dovremmo farci un pensierino», è stata la battuta di Maroni.
E come dessert, nel menù leghista, il ministro Calderoli ha inserito anche Palazzo Chigi.

A poche ore dall’incontro con Berlusconi l’artiglieria di Bossi non poteva che suscitare la reazione degli alleati.
Il Secolo d’Italia ha parlato di «silenzio non più sostenibile del Pdl» e anche il capo gruppo al Senato del Pdl, Maurizio Gasparri, si è sentito in dovere di gettare una secchiata d’acqua sui bollenti spiriti dei leghisti.
Se si dovesse seguire questo tintinnio di sciabole che proviene dalle rispettive truppe ad Arcore questa sera si dovrebbero alzare scintille altissime.
Invece avverrà esattamente il contrario.
La previsione si regge su un copione ormai consolidato.
Prima di un incontro importante Umberto Bossi infatti spedisce sempre i suoi uomini in avanscoperta muniti di lanciafiamme.
In questo modo è in grado di offrire, gratis, al suo interlocutore, fin dalle prime battute, un efficiente servizio da pompiere. Così nel confronto parte dall’essersi assicurato precedentemente una buona dose di gratitudine da chi gli sta davanti.
Bossi lo può fare perché ha il controllo assoluto dei suoi uomini e quindi può smentirli (a volte smentisce anche se stesso) senza provocare alcuna reazione interna.
L’interlocutore di Bossi, dal suo canto, può rivendersi all’esterno di avare chiesto e ottenuto il ridimensionamento di progetti e pretese avanzate dai colonnelli della Lega.
E’ una strategia che finora ha funzionato bene sia per Bossi che per Berlusconi.
Funzionerà anche dopo il risultato delle Regionali?
Per la prima parte si può stare certi che andrà come è logico che vada dopo che si è ottenuta insieme una bella vittoria..
Inoltre la coppia è ormai troppo collaudata per non procedere a memoria.
Non bisogna dimenticare che sul piatto ci sono due aspettative, quella sulla giustizia di Berlusconi e quella sul federalismo di Bossi che oggi hanno a loro favore tutte le condizioni affinché possano essere realizzate. Si può stare certi che nessuno dei due vi rinuncerà per qualche errore di orgoglio.

Ora però in campo è apparso il presidenzialismo.
Da qualunque parte lo si prenda, sul modello francese, israeliano o americano, il presidenzialismo è una materia troppo delicata per gli equilibri di potere per essere giocata come moneta di scambio.
Per Berlusconi può significare il coronamento di una visione del potere di stampo aziendale, dove il più capace deve essere messo in condizione di realizzare le promesse che ha fatto con i mezzi più efficienti ed efficaci per arrivare allo scopo.
Ma Berlusconi finora ha fatto ameno del federalismo senza porsi troppo il problema, mentre per Bossi (non lo ha mai nascosto) questa è la condizione, il big bang, sul quale si fonda l’universo leghista.
Senza il federalismo per Bossi anche l’alleanza con l’amico Berlusconi svanirebbe in un secondo.

Ora c’è da chiedersi: il presidenzialismo facilita o inceppa il federalismo compiuto, quello cioè che prevede che i frutti del lavoro restino (in gran parte) dove sono stati prodotti?
Quando ci sarà da dividere i pani e i pesci fra Nord e Sud, per di più in una situazione di risorse scarse, l’eventuale super presidente da che parte starà? Dalla parte della nazione unita o da quella che dà a ciascuno secondo i suoi meriti, lasciando agli ultimi della classe la «paghetta della domenica», come ha recentemente affermato il governatore del Piemonte, Luca Zaia, riferendosi alla Calabria?
Il presidenzialismo apparentemente dovrebbe trovare più difficoltà a gestire un periodo di transizione come quello che ci aspetta con l’introduzione del federalismo fiscale.
A patto che non faccia parte di un progetto più vasto che preveda la «leghizzazione» non solo del Nord, ed eventualmente del Centro, ma anche del Sud.
Solo un mese fa l’ipotesi avrebbe fatto ridere sia a destra che sinistra. Dopo quanto è successo alle Regionali invece è il caso di ragionarci sopra.
Fa riflettere soprattutto che ad avanzare l’ipotesi presidenzialista sia stato Roberto Maroni che, non dimentichiamolo, è ministro dell’Interno e non da oggi.
E’quindi l’uomo che più di ogni altro oggi in Italia ha il polso di quello che si agita nel Paese. Maroni, che tra l’altro ha una esperienza politica che ha origine nella Prima Repubblica, dal suo osservatorio, è in grado di percepire gli umori che provengono da ogni angolo del Pese, non solo dai territori leghisti.
Inoltre il leghista Maroni sta combattendo una battaglia contro la criminalità organizzata che ha paragone solo all’impegno che il ministero dell’Interno profuse nella lotta al terrorismo e alle Brigate Rosse.
Maroni sta ottenendo anche significative vittorie che gli vengono riconosciute anche dalla sinistra.

Detto in soldoni, il il ministro si sta dando tanto da fare solo per spirito di servizio o anche perché è consapevole che ogni progetto che riguardi la soluzione meridionale non può prescindere perlomeno dal ridimensionare, se non sconfiggere del tutto, la criminalità organizzata?
Tradotto in politica: se un candidato leghista fra un anno si presentasse a Napoli come il cavaliere bianco capace di liberare la città dai mali secolari che l’affliggono, verrebbe accolto come un eretico o come un salvatore?
Maroni sa che se non si piega prima la testa alla camorra e alla criminalità organizzata, non c’è cavaliere bianco o leghista che a Napoli,come nel Sud, possa fare miracoli.
Ma sa anche che la gente, anche al Sud, ha cominciato a credere che Umberto Bossi di miracoli se ne intenda davvero.