20 aprile 2024
Aggiornato 04:00
Politica. PdL

Berlusconi e Fini, continua «l'odissea nella politica»

Nessuno dei due ha interesse a rompere con l'altro. In particolare il presidente del Consiglio che è quello che ci rimetterebbe di più

ROMA - Il 2010 si apre all'insegna del confronto-scontro tra i due co-fondatori del PdL, Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. I due presidenti - il primo del Consiglio, il secondo della Camera - si incontreranno quanto prima (forse già la prossima settimana) per definire la loro «road map» per evitare l'implosione del PdL, voluta dai «falchi» presenti tra i rispettivi sostenitori, che porterebbe però gravi danni alle aspirazioni dei due leader.

Non è un mistero, infatti, che Berlusconi voglia passare alla storia italica come uno dei «grandi» che l'hanno contrassegnata e che voglia, quindi, lasciare un'impronta imperitura a Palazzo Chigi. Inoltre, più prosaicamente, vuole evitare quella che lui definisce una «persecuzione» da parte di una frangia di magistrati annoverati tra le «toghe rosse». Dal canto suo, Fini ha bisogno di tempo, quello dell'attuale intera legislatura, per poter affermare in Italia il ruolo di un centrodestra moderno, che possa idealmente allearsi con quelle rappresentate in Europa da Sarkozy, Cameron e Aznar.

Nessuno dei due, quindi, ha interesse a rompere con l'altro. In particolare il presidente del Consiglio, che è quello che ci rimetterebbe di più, anche per questioni di età (Berlusconi è del 1936, Fini del 1952). In verità il premier ha provato a piegare il leader dell'ex An prima con il tentativo di portargli via i parlamentari, poi non facendo quasi nulla per, quanto meno, attenuare i toni della fortissima campagna di stampa contro il presidente della Camera condotta dal quotidiano di famiglia Il Giornale.

L'operazione però non è riuscita: Fini ha dimostrato nervi saldi e sangue freddo e, soprattutto, di poter contare su un numero cospicuo di senatori e deputati che, se costretto alla rottura, avrebbero impedito a Berlusconi di poter contare in Parlamento su una salda maggioranza, vanificando la sua azione di governo. D'altro canto, anche la minaccia di elezioni anticipate si è rivelata un'arma spuntata perché, al di là della possibilità di ottenere dal «Colle' una immediata chiamata alle urne, il rischio - molto forte - è che il centrodestra - orfano di Fini - al Senato non avrebbe più avuto la maggioranza o l'avrebbe avuta così risicata da rivivere l'esperienza dell'ultimo governo Prodi (e si sa come è finita).

Quindi Berlusconi e Fini sono costretti a trovare un accordo, pur non «amandosi» più come qualche anno fa. Ed ognuno dei due sarà costretto a fare concessioni all'altro.

Da qui inevitabili interventi sul PdL (dove il presidente della Camera vuole ruoli significativi per alcuni suoi «fedelissimi') per dargli un ruolo propositivo e non di mera rappresentanza. Per Fini il partito deve essere radicato nel territorio, deve avere organi statutari che si riuniscono e decidono le linee programmatiche a livello nazionale e regionale. No, allora, ad un PdL narcotizzato che si sveglia in occasione di tornate elettorali per raccogliere voti solo in nome di un leader carismatico, cosa che indubbiamente Berlusconi e'. Il presidente della Camera, da canto suo, dovrà allentare i tempi delle sue battaglie «etiche', in particolare di quelle, come sulla cittadinanza agli immigrati, che possono portare a forti frizioni con la Lega Nord di Umberto Bossi, strategico alleato del «Cavaliere» che permette al centrodestra di «dominare» il Nord d'Italia.

Si profila dunque un accordo tra i due co-fondatori del PdL, ma ciò non metterà sicuramente fine, nel 2010, alla «Odissea nello spazio politico» di Berlusconi e Fini perché simul stabunt, simul cadent.