19 aprile 2024
Aggiornato 16:00
Sperimentazione animale

L'Università di Bari invia topi nello spazio

Per studiare effetti assenza di gravità. La LAV: «Risultati inattendibili, incrementare metodi alternativi e studi clinici»

«Costringere animali vivi, privati di qualsiasi esigenza fisica e ambientale della specie, perché costretti in minuscole gabbie e sottoposti ad alimentazione forzata ed assenza di gravità, per studiare gli effetti che tale situazione produce sull’apparato muscolo-scheletrico, è eticamente inaccettabile e scientificamente fuorviante», commenta Michela Kuan, biologa responsabile del settore Vivisezione della LAV alla notizia del «rientro» dal viaggio di 100 giorni nello spazio di un gruppo di topi, utilizzati a fini sperimentali dall’Università di Bari per l’Agenzia Spaziale Italiana.

E’ noto, infatti, come fibre muscolari e apparato scheletrico differiscano notevolmente tra uomo e topo. In particolare, nel quadrupede l’asse femorale è pressappoco perpendicolare all’asse vertebrale. Al contrario nell’uomo asse vertebrale e femorale sono quasi paralleli, di conseguenza il carico sull’articolazione è fortemente superiore nella nostra specie rispetto al topo.

Tessuto muscolare e scheletrico, inoltre, differiscono tra le specie per formazione e degenerazione ossea, picco della massa ossea ed entità della risposta infiammatoria ed immunitaria, rendendo qualsiasi risultato non attendibile se applicato a specie diverse da quelle oggetto di sperimentazione.

I topi sono stati inviati nello spazio allo scopo di investigare gli effetti sulle funzioni muscolari degli astronauti durante lunghe permanenze in orbita, effetti affini a malattie genetiche, traumi, invecchiamento ed osteoporosi, a dispetto delle ingenti quantità di denaro spese dalla ricerca spaziale in passato per addestramento e selezione di animali che non hanno, comunque, portato a dati applicabili all’uomo.

«Nonostante questo continuano ad essere finanziati, anche con denaro pubblico, e autorizzati progetti che prevedono l’utilizzo di animali vivi, sebbene siano disponibili numerosi metodi alternativi tra i quali, nello specifico, studi clinici di soggetti che presentino già le disfunzioni e patologie in esame, tra cui astronauti stessi, che produrrebbero risultati certamente più attendibili e utili», prosegue Michela Kuan.

Rispetto alle applicazioni dello studio spaziale in relazione all’osteoporosi, sarebbe più utile e corretto fare informazione e prevenzione dell’osteoporosi, che in Italia interessa almeno il 15% della popolazione oltre i 65 anni di età, diffondendo il rilevante dato che una dieta ricca di carne e sale può causare la demineralizzazione delle ossa e sottolineando anche i più importanti fattori di rischio, come fumo, abuso di sostanze alcoliche e mancanza di attività fisica.