25 aprile 2024
Aggiornato 08:30
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Cassazione: Figli di genitori ricchi hanno «diritto a spendere»

In caso di separazione l'assegno deve essere consistente

ROMA - I figli di genitori ricchi hanno diritto a spendere anche dopo la separazione di mamma e papà. E anche se un'eccessiva disponibilità economica potrebbe compromettere l'educazione dei ragazzi, non è di questo che si deve preoccupare il giudice quando fissa l'assegno divorzile. L'importante è conservare il tenore di vita precedente. Così i giudici della prima sezione civile, con la sentenza 11538, hanno censurato le conclusioni dei giudici di secondo grado. Pur ammettendo che l'equazione «troppi soldi - cattive abitudini» non è del tutto sbagliata, la Cassazione ricorda però che ciò che dice la legge è un'altra cosa.

I giudici, in caso di separazione dei coniugi, devono determinare l'assegno sulla base delle loro possibilità economiche e del tenore di vita di cui la famiglia ha beneficiato in precedenza. In appello invece erano state accolte le proteste del papà separato, secondo il quale l'assegno di 1.100 euro che era stato disposto dal tribunale in favore di ognuna delle due figlie minorenni, sommati ai 500 euro al mese che doveva versare alla madre, oltre alla metà di tutte le spese mediche di mamma e figlie, era davvero troppo. Avrebbe finito per avere ripercussioni negative sull'educazione delle ragazze, diceva il padre preoccupato. I magistrati della Corte d'appello fiorentina gli avevano dato ragione.

Di tutt'altro avviso, naturalmente, la mamma che ha presentato ricorso in Cassazione. E la Corte, richiamando il codice civile che all'articolo 147 prevede espressamente che i genitori devono «far fronte ad una molteplicita' di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all'aspetto abitativo, culturale, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all'assistenza morale e materiale», sottolinea che 2.700 euro al mese in totale non è detto siano una somma eccessiva. In particolare la Corte nell'ammettere che le conclusioni della Corte d'appello non sono «affette da illogicità», precisa che però «non sono aderenti al dettato normativo che impone di determinare la contribuzione considerando le esigenze della prole in rapporto al tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori, e considerando altresì le risorse e i redditi di costoro». Insomma, parafrasando un vecchio detto, i soldi dei padri - e non solo le colpe - ricadono sui figli.