24 aprile 2024
Aggiornato 12:00
Presidenziali USA

Sprint finale verso la Casa Bianca

Le elezioni americane secondo gli studenti di Yale

Nuova tappa del tour tra gli elettori americani è il Conneticut. Siamo a New Haven, una tranquilla cittadina studentesca, il cui nome potrebbe essere sconosciuto ai più, se non fosse per il suo «tempio della sapienza», la Yale University. Siamo andati tra gli studenti di una delle università più prestigiose al mondo, per vedere loro, i leader del futuro, come vivono l’elezione del secolo.

In un campus da sogno, uno di quelli che si è abituati a vedere nei film, circondati da immense distese di verde, e strutture sportive tanto grandi da poter ospitare un’olimpiade, si aggirano circa dodicimila studenti, provenienti da ogni angolo degli States e del mondo (circa l’11% degli studenti sono stranieri).

Nel college che annovera tra i suoi ex-alunni alcune delle più importanti personalità americane - tra cui quattro degli ultimi sei presidenti (Ford, Bush H. W., Clinton e Bush junior) - premi nobel e pulitzer, si respira aria di elezioni. Non c’è un angolo dove non si parli dello sprint finale verso la Casa Bianca. In mensa, alla caffetteria, in biblioteca, ma anche tra i corridoi e nelle classi, gli studenti discutono, si confrontano, sui programmi dei due candidati.

Abbastanza prevedibile la presenza degli stand dei due candidati, organizzati e gestiti dalle democrat and repubblican societies, ovvero le associazioni studentesche legate ai due partiti. Cosa molto più inusuale è il fatto che questi due movimenti collaborino per la realizzazione di eventi davvero particolari.

Si tratta di face-to-face events (faccia a faccia), uguali ai quattro organizzati dalla Commissione sui Dibattiti presidenziali, con l’unica sostanziale differenza che a confrontarsi non sono i protagonisti, i magnifici quattro (troppo impegnati a muoversi da uno Stato all’altro), ma semplici supporter, democratici e repubblicani. Senza essere dinanzi a telecamere e/o milioni di spettatori, questi studenti spiegano le loro ragioni, quelle per votare per un candidato o per l’altro, analizzando i due
programmi elettorali sotto l’occhio attento di altri colleghi di studio, professori e membri dello staff accademico.

Si affrontano diverse tematiche, dal global warming ai diritti civili, dalla sanità alla guerra in Iraq. Ma anche qui naturalmente a farla da padrona è la crisi finanziaria. Studenti di diverse età (dai diciottenni del primo anno sino agli over 40 degli MBA), etnie, provenienza si alternano sul palco spiegando come la politica fiscale di un candidato sia meglio dell’altra, come sia fondamentale creare nuovi posti di lavoro per far riavviare l’economia e ricostruire il sogno americano.

Brandon, 26 anni da Seattle, parlando delle detassazioni fiscali, traccia grafici e scrive formule che di sicuro farebbero arrossire la Palin. Paras, 32 anni da Kansas City, spiega come un maggior controllo degli organi di vigilanza avrebbe potuto evitare un crack del genere.

Andando poi sullo specifico dei candidati, i supporter dell’elefante sottolineano l’inesperienza di Obama in campo internazionale e non vedono il «big change» tanto osannato durante la sua campagna. Jason, texano e repubblicano doc, attacca «loro parlano tanto di cambiamento e poi propongono come vice Biden, che siede lì da una vita? Un vero cambiamento è proporre una donna nuova come la Palin, capace di dare una ventata di freschezza in quegli ambienti». Dall’altra parte i democratici puntano il dito verso l’amministrazione Bush e gli ultimi otto anni, semplicemente
chiedendo »Non ne abbiamo avuto abbastanza?»

Dopo circa un’ora e mezza «the show is over». Gli studenti tornano sui libri, i professori alle cattedre. Incontri del genere vengono ripetuti quotidianamente da ormai due mesi. Anche se una parte degli studenti, usufruendo della possibilità di votare in anticipo, diritto riconosciuto in alcuni stati (Virginia, Kentucky e Georgia) per evitare code e disordini all’election day, ha già scelto, sono in molti a dirsi ancora indecisi. Aspetteranno forse l’ultimo momento prima di scioglere il dilemma. In ogni caso l’impressione generale è che anche tra le «beautiful minds» di Yale, il carismatico senatore dell’Illinois sia di gran lunga preferito rispetto al veterano del Vietnam.

Daniele Diana