19 aprile 2024
Aggiornato 14:00
food innovation

Il grano di Filippo che cresce nella Savana e sfama milioni di persone

Il grano di Filippo riesce a crescere a una temperatura di 35-40 gradi

RABAT - Nutrire milioni di persone attraverso il miglioramento genetico che, intendiamoci, «non è OGM. Si tratta del semplice incrocio e selezione. Faccio spesso l’esempio di Varenne, il cavallo velocissimo. Tutti volevano far fecondare le loro puledre con Varenne per ottenere dei cavalli ancora piu’ veloci. Questo è il miglioramento genetico. Io ho preso semplicemente centinaia di varietà, ne ho incrociato i fiori e poi ho selezionato in campo quelle che si comportavano meglio». Ed è in questo modo che Filippo Bassi, 35 anni, è riuscito a creare una varietà di frumento che può crescere anche in condizioni avverse, nella Savana, sfidando siccità e alte temperature.

Modenese, con alle spalle studi in Agraria e Biotecnologie Vegetali (percorso di studio purtroppo pressochè chiuso oggi a causa del grande dibattito OGM non OGM), poi migrato in Australia e negli Stati Uniti per approfondire gli studi. Filippo, come tanti ricercatori italiani, è dovuto emigrare all’estero per potersi garantire un futuro. E dopo aver girato il mondo si è fermato in Africa, a Rabat, dove ha avviato le sue ricerche per creare una varietà di frumento che potesse essere coltivato anche in quelle terre aride dove la popolazione, del frumento, non aveva mai neppure sentito parlare. Oggi, quasi un miliardo di persone non ha cibo a sufficienza e le Nazioni Unite hanno stimato che l’approvvigionamento alimentare dovrà aumentare del 50% per coprire la crescita demografica prevista nei prossimi decenni.
«Credo sia stato l’impatto devastante provocato dal cambiamento climatico e che vediamo ogni giorno a spingermi ad aderire al programma internazionale di breeding del frumento dell’Icarda - ci dice Filippo -. Per prepararci al futuro ci siamo spinti fino al fiume Senegal, dove le temperature sono già altissime, per vedere se riuscivamo a sviluppare delle varietà che si potessero adattare al futuro cambiamento climatico. Nel fare questo, siamo riusciti anche ad aiutare le popolazione locali».

Il grano di Filippo riesce a crescere a una temperatura di 35-40 gradi. «Siamo stati anche definiti pazzi per esserci spinti così oltre - ci racconta Filippo -. Abbiamo aperto Google Maps e abbiamo capito che era quello il posto in cui dovevamo lavorare, al fiume Senegal. Dopo abbiamo seguito il percorso scientifico, cercando i dati di temperatura e suolo. Ad aiutarci è stato in gran parte il Centro Nazionale delle Ricerche Svedesi che ha ritenuto il nostro progetto sufficientemente possibile da darci i fondi necessari per operare». Il grano di Filippo è molto precoce, va a semina e raccolta in soli 92 giorni, lungo il fiume Senegal. Tollera temperature costanti di oltre 40 gradi. La sua forza è dovuta a un polline che non si secca quando le temperature sono così alte e rimane quindi capace di produrre un buon numero di semi per spiga. La forza deriva da antichi semi di farro e da un’erbaccia commestibile chiamata ‘erba pecora’ raccolti in Siria e poi incrociati via pollinazione con delle varietà Icarda ad alto rendimento. Il grano di Filippo riesce a raggiungere una produzione di circa 2-4 tonnellate per ettaro.

«Il 7 marzo abbiamo avuto un incontro molto importante a Dakar, con un rappresentante del ministero, il mio direttore generale, e tanti attori chiave della filiera, inclusa la cooperazione italiana. In tale occasione, il governo senegalese si è dichiarato pronto a sostenere la produzione del frumento - ci racconta orgoglioso Filippo -. Mirano a produrre il 50% del loro fabbisogno direttamente sulle terre del fiume tramite le nostre varietà. Direi che è un bel passo avanti rispetto al 2013 quando il frumento non esisteva assolutamente in Senegal nè era mai stato considerato». In questo momento le varietà sono pronte, ma hanno bisogno di ulteriori fondi per essere moltiplicate. Filippo ci spiega che questa è una fase molto delicata dove è necessario prendere la scoperta e trasformarla in cibo sulla tavola. «Siamo in cerca di partners e di sponsor - ci dice Filippo -. Senza di essi resterà solo una bella scoperta, ma senza impatto reale».

Ma le difficoltà non sono state solo economiche, malgrado la popolazione abbia ben accolto studiosi e ricercatori sulle proprie terre, Filippo, ci racconta quanto sia stato complesso spiegare agli agricoltori locali la coltura del frumento che essi non conoscevano nel modo più assoluto. «Abbiamo dovuto lavorare molto per spiegare e programmare tutte le parti tecniche di base, prima di raggiungere il risultato. Sarebbe come chiedere a ricercatori e contadini italiani di coltivare una noce di cocco che resiste alle basse temperature nella valle del Po».

Malgrado le difficoltà e le risorse (che hanno necessariamente bisogno di essere trovate) una delle più belle soddisfazioni è vedere il sorriso sul volto della popolazione locale che è rimasta estremamente sbalordita dalla scoperta di Filippo. «Riceviamo richieste praticamente ogni giorno - ci racconta lui -. Purtroppo non abbiamo abbastanza semi per accontentare tutti. Posso però dire con grande piacere che i primi agricoltori senegalesi a coltivare queste varietà sono delle donne. A loro va riconosciuto l’immenso coraggio di aver rischiato per prime e saranno loro a dover essere ringraziate se un domani, il Senegal, sarà diventato un produttore di frumento».