27 agosto 2025
Aggiornato 14:30
big data

Così i Big Data ti diranno se puoi prestare i soldi a qualcuno (e riaverli)

I Big Data servono oggi per fare analisi predittive basate su comportamenti di massa. In questo studio alcune parole sono state usate per capire chi avrebbe restituito un prestito

Così i Big Data ti diranno se puoi prestare i soldi a qualcuno (e riaverli)
Così i Big Data ti diranno se puoi prestare i soldi a qualcuno (e riaverli) Foto: Shutterstock

MILANO - Prevedere il futuro è uno dei più grandi desideri dell’uomo, da quando l’uomo esiste, in sostanza. Chi non ha mai voluto avere più dettagli sul domani, in modo da potersi preparare al meglio per affrontarlo? Le previsioni assumono un’importanza fondamentale soprattutto nei settori economici, laddove molti comportamenti potrebbero addirittura cambiare le sorti di un’azienda. Se prima era complesso prevedere il futuro, oggi, i Big Data, supportati dall’Intelligenza Artificiale, possono offrirci un quadro verosimile di ciò a cui stiamo andando incontro.

I Big Data ti dicono se restituirai un prestito
Recentemente, tre economisti - Oded Netzer e Alain Lemaire, entrambi della Columbia, e Michal Herzenstein dell'Università del Delaware - hanno cercato modi per prevedere se un mutuatario avrebbe rimborsato un prestito. I tre studiosi hanno preso come riferimento i dati di un sito di prestito peer-to-peer, all’interno del quale i potenziali mutuatari scrivono una breve descrizione del motivo che li spinge a chiedere un prestito e del motivo per cui è probabile che riescano a risolverlo. Attraverso l’analisi di questi dati, i tre economisti hanno scoperto che il linguaggio che i potenziali mutuatari usano è un forte predittore della loro probabilità di ripagare quanto ottenuto. In sostanza, alcune parole tendono a essere usate da persone di cui ci si può fidare alcune no. Tra queste ne troviamo di bizzarre, come ‘signore’, ‘laureato’, ‘grazie’, ‘ospedaliero’. Si potrebbe pensare - o almeno sperare - che una persona educata, apertamente religiosa, che dà la sua parola, sarebbe tra le più probabili a rimborsare un prestito. Ma in realtà non è così. Questo tipo di persona, secondo i dati disponibili, ha meno probabilità della media di recuperare il debito. Di fatto, parole come ‘pagherò’, ‘grazie’, ‘promessa’, sono maggiormente usate da chi poi sarà insolvente, mentre ‘esente da debito’, ‘tasso di interesse inferiore’ sono parole usate da chi il debito, poi, l’ha risolto.

Se ti ringrazio non ti rimborserò
Frasi come "tasso d' interesse più basso" o "al netto delle imposte" indicano un certo livello di sofisticazione finanziaria da parte del mutuatario, quindi forse non sorprende che essi siano in relazione con qualcuno che ha maggiori probabilità di rimborsare il prestito. Nel caso contrario, invece, quanto più la promessa sarà assertiva, tanto più è difficile che sarà realizzata. Un' altra parola che indica il default è "spiegare", cioè se le persone stanno cercando di spiegare perché saranno in grado di rimborsare un prestito, probabilmente non lo faranno. Allo stesso modo se useranno parole come ‘Dio’ e si appelleranno alla misericordia di chi ha prestato il denaro.

Le aziende ci possono giudicare su criteri astratti?
Se i risultati dello studio possono avere, da una parte, un aspetto divertente, dall’altra sollevano non poche questioni di tipo etico. E’ possibile che le aziende utilizzino i dati online per approvare un prestito, investigando sulle parole che i potenziali mutuatari scrivono? Un consumatore che cerca un prestito nel prossimo futuro potrebbe doversi preoccupare non solo della sua storia finanziaria, ma anche della sua attività online. La quale, peraltro, può essere giudicata sulla base di fattori che appaiono assurdi, ad esempio se usa la parola ‘grazie’ o invoca ‘Dio’. Ma la vera domanda che dobbiamo farci è: le aziende hanno il diritto di giudicare la nostra idoneità per i loro servizi sulla base di criteri astratti ma statisticamente predittivi non direttamente correlati a tali servizi?

Nel mondo del lavoro
Lasciando alle spalle il mondo della finanza, guardiamo alle implicazioni più ampie che ne derivano, per esempio, sulle pratiche di assunzione. Di fatto, molti datori di lavoro, oggi, utilizzano i social network per sapere qualcosa in più circa la vita del candidato e potrebbero anche decidere di scartarlo se, ad esempio, rinvengono delle abitudini dannose, come l’abuso di alcol. Ma cosa succede se trovano un indicatore apparentemente innocuo che si correla con qualcosa che riguarda la loro sfera personale?

I ricercatori della Cambridge University e Microsoft hanno dato a 58.000 utenti Facebook statunitensi una varietà di test sulla loro personalità e intelligenza. Hanno scoperto che i like di Facebook (alle pagine) sono spesso correlati con il quoziente intellettivo e la coscienza. In questo modo, le persone che amano Mozart, i temporali e le patatine fritte su Facebook tendono ad avere QI più alti. Le persone che amano le motociclette Harley Davidson, il gruppo di musica country Lady Antebellum, o la pagina "Amo essere una mamma" tendono ad avere QI inferiori. Alcune di queste correlazioni possono essere dovute alla teoria della ‘dimensionalità’: se si testano abbastanza cose, alcune di queste si correlano in modo casuale. Giusto? Sbagliato? In tutta onestà, non si tratta di un problema del tutto nuovo. Le persone sono state a lungo giudicate da fattori non direttamente correlati alle prestazioni lavorative - la fermezza delle loro strette di mano, la pulizia del vestito. Ma il pericolo della rivoluzione dei dati è che, man mano che si quantifica la nostra vita, questi giudizi possono diventare più esoterici e più invadenti. Una migliore previsione può portare a una discriminazione più sottile e nefasta.

La discriminazione dei prezzi
Il miglioramento dei dati può anche portare ad un'altra forma di discriminazione, quella che gli economisti chiamano discriminazione dei prezzi. Le imprese spesso cercano di capire quale prezzo devono pagare per beni o servizi. Idealmente vogliono addebitare ai clienti il massimo che sono disposti a pagare. In questo modo, essi estraggono il massimo profitto possibile. I Big Data, sostanzialmente possono consentire alle aziende di ottenere quelle informazioni utili a capire meglio ciò che i clienti sono disposti a pagare e quanto. Come? Basandosi suoi comportamenti che altri clienti hanno avuto prima di quel momento. Giusto? Sbagliato? A voi stabilirlo.