Ricerca e sviluppo: la spesa è bassa, ma le PMI italiane si innovano (da sole)
Le imprese italiane mostrano una spiccata attitudine all’innovazione. Nel panorama comunitario, l’Italia si conferma seconda per numero di imprese innovatrici con almeno dieci addetti

ROMA - Qualcosa si muove ma non alla velocità che dovrebbe. Questa è la sintesi con la quale possiamo fotografare lo scenario dell’innovazione, della ricerca, della creazione di imprese di nuova generazione in Italia. Un sistema che va letto in profondità, cercando di superare alcuni luoghi comuni che descrivono un Paese che arranca, in perenne difficoltà rispetto ai suoi competitor internazionali e fanalino di coda nelle classifiche che contano. Se è vero che c’è la necessità di lavorare con maggiore impegno sugli strumenti a sostegno della ricerca scientifica e dell’innovazione, è altrettanto vero che concentrarsi esclusivamente su alcuni parametri non aiuta a comprendere lo stato di salute di un settore che, accanto ai ritardi strutturali, mostra dei segnali incoraggianti. In valori assoluti, la spesa italiana per ricerca e sviluppo nel 2014 è stata di 22.291 milioni di euro, un dato che, pur mantenendo il nostro Paese al di sotto delle principali economie del mondo in termini di rapporto sul PIL (1,33), lo colloca al settimo posto dei Paesi OCSE, dietro Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Corea del Sud e Regno Unito e quarto in Europa.
Ricerca e sviluppo, tra spese e difficoltà
Tale incidenza della spesa in ricerca e sviluppo è meno della metà di quella tedesca e circa un terzo in meno della media comunitaria. Il differenziale negativo è in gran parte spiegato dalla componente privata, la cui incidenza sul PIL è pari ad appena lo 0,74%, e quindi dalla scarsa attitudine ad investire delle imprese. Sui 22.291 milioni di spesa in R&S il 55,5% proviene dalle imprese; il 28,5% dalle Università; il 13,1 dalle istituzioni pubbliche; il 2,9% da soggetti no-profit. Le difficoltà dell’Italia nella spesa in ricerca e sviluppo sono da associare essenzialmente alla ridotta dimensione media delle imprese, sul fronte degli addetti così come su quello patrimoniale e finanziario. Il ridotto peso dei grandi gruppi industriali nell’economia a favore delle piccole e medie imprese rappresenta un ostacolo insuperabile in tema di investimenti. Ciò vale ancor più se si tratta di investimenti in ricerca, normalmente caratterizzati da un alto livello di risorse finanziarie necessarie e un’alta rischiosità. Elementi che facilitano la creazione di barriere all’entrata per quelle imprese che non dispongono di volumi di fatturato elevati e una solida struttura di produzione. Nonostante ciò, l’Italia rimane uno dei Paesi a maggior capacità innovativa. Questo perché le imprese italiane contrastano i loro limiti dimensionali ricorrendo a servizi di ricerca e sviluppo esternalizzati (i dati fino ad ora analizzati si riferiscono alla ricerca intra-muros, ovvero quella realizzata direttamente all’interno delle imprese) o, più frequentemente, ad una continua attività di innovazione incrementale. Le imprese italiane mostrano dunque una spiccata attitudine all’innovazione. Basti pensare come, nel panorama comunitario, l’Italia si confermi seconda per numero di imprese innovatrici con almeno dieci addetti (54.458).
Comunque forti nelle innovazioni di prodotto
Di fatto le imprese italiane mostrano un vantaggio sulla media comunitaria, in termini di diffusione, per quanto riguarda le innovazioni commerciali (marketing), di prodotto e di processo. Per ciò che attiene alle innovazioni di prodotto, infatti, le imprese italiane - nonostante lo scarso contributo della ricerca - sono comunque capaci di introdurre innovazioni radicali in maniera più diffusa (62,8% delle innovatrici di prodotto contro una media comunitaria oltre dieci punt inferiore). Solo in Francia, tra i principali Paesi comunitari, si registra una quota analoga a quella italiana. Un aspetto che permette alle nostre imprese di mantenere i vantaggi competitivi che contribuiscono ad affrontare le sfide dei mercati internazionali, nonostante la scarsa capacità di investire in ricerca e sviluppo.
Quanti brevetti
Lo stato dell’innovazione del nostro Paese può essere analizzato, oltre che in relazione alle spese in ricerca e sviluppo e l’innovazione delle imprese, anche attraverso il numero di domande di brevetto depositate. Nel complesso, il numero di brevetti depositati durante l’ultimo anno (2015) dall’Italia è pari a 10.442. Solo la Germania fa meglio con oltre 16mila depositi mentre Francia, Spagna e Regno Unito seguono a lunga distanza. In termini assoluti, il maggior numero di brevetti depositati è da ascrivere alla moda (1.776 depositi) e al mobilio (1.695). Nel confronto con il resto dell’economia comunitaria, è interessante osservare come in ben 13 casi ci collochiamo sul podio, con la prima posizione conquistata in termini di articoli di abbigliamento e costruzioni e ed elementi edili.