18 aprile 2024
Aggiornato 09:00
giovani

L’ex imprenditore 90enne dona il patrimonio agli startupper: «Siate umili, ma miglioratevi continuamente»

Grazie all’associazione (la Fondazione Cottino) intitolata a lui e alla moglie scomparsa, Giovanni ogni anno devolve 100mila euro a uno startupper, perché «il futuro dipende dal nostro investimento sui giovani

«Siate umili, ma miglioratevi continuamente»
«Siate umili, ma miglioratevi continuamente» Foto: Shutterstock

TORINO - Una vita dedicata al lavoro, fondatore di aziende come Plaset, Ceset, Olmo, che poi ha venduto alla multinazionale Emerson, ‘capo’ di oltre 1200 dipendenti per un fatturato annuo che - negli anni d’oro - arrivava a ben 250 milioni di euro. Un patrimonio, quello di Giovanni Cottino, ex imprenditore torinese 90enne, che non è solo economico, ma culturale, sociale, sa di sacrificio e d’impegno. Un patrimonio che l’uomo ha deciso di devolvere ai giovani imprenditori italiani che decidano di avviare qui, in Italia, il loro business e costruirsi un futuro. Grazie all’associazione (la Fondazione Cottino) intitolata a lui e alla moglie scomparsa, ogni anno devolve 100mila euro a uno startupper, perché «il futuro dipende dal nostro investimento sui giovani e dalle opportunità che si creano per la loro crescita». E, così, emozionati dal suo spirito filantropo, abbiamo deciso di farci contaminare dalla sua conoscenza e dai suoi insegnamenti.

Ha vissuto la maggior parte della sua vita dedicandola al lavoro, la sua azienda era leader di mercato nel settore degli elettrodomestici. Come ha fatto? C’è un segreto?
Il punto di partenza è quello di avere l’ambizione di realizzare un prodotto che soddisfi chiaramente, sulla base di ricerche e di dati quanto più oggettivi e affidabili, un bisogno sentito dal mercato e anticiparne le future esigenze  influenzandone  il comportamento: sono questi gli elementi fondamentali. Occorre quindi avere un chiaro e coerente posizionamento strategico in termini di rapporto qualità/prezzo ed avere il controllo totale dei costi. La conoscenza della concorrenza inoltre, ovunque essa sia, è un fattore critico di successo. Costruire infine un network ed una rete di advisor ed esperti con i quali condividere esperienze e confrontarsi sulle sfide e sui problemi da affrontare: essere soli non paga.

Perché ha deciso di devolvere ogni anno 100mila euro a un giovane?
Il futuro dipende dal nostro investimento sui giovani e dalle opportunità che si creano per la loro crescita. Noi crediamo nei giovani e per questo abbiamo scelto di sostenerli. La mia vita è stata vissuta all’insegna del lavoro e dei valori che mi hanno consentito di affrontare tante sfide dell’essere imprenditore e cittadino. La mia esperienza può essere utile ora ai giovani nel loro vivere il presente e nella costruzione del loro futuro. Tramite la Fondazione e con il supporto di tutti i suoi partner e collaboratori, sto dando il mio contributo.

Quali sono i criteri per essere selezionato dalla sua fondazione?
Sostenere e sviluppare l’applicazione di conoscenza e ricerca, trasferirne tecnologicamente ed imprenditorialmente il loro valore è uno dei modi che abbiamo individuato per migliorare le condizioni economiche, sociali e civili nel nostro Paese. Da questa visione nasce il Premio Applico: stimoliamo i ricercatori ad imboccare e percorrere le vie dell’imprenditorialità, attraverso un’innovazione, che è la base del progresso non solo scientifico ma anche sociale. Il progetto non deve essere solo originale ed innovativo, ma deve proporre una soluzione sostenibile nel lungo periodo capace di risolvere un problema ed apportare un beneficio clinico. Una sfida enorme che per questo aggrega competenze diverse che puntano allo stesso obiettivo. La nostra non è solo un’erogazione di fondi. Il nostro è un affiancamento nei diversi ambiti di sviluppo dell’iniziativa, nella convinzione che l’imprenditorialità legata alla scienza sia sì un percorso complesso ma potenzialmente capace di migliorare la qualità della vita e della società.

Ha detto che possono accedere al concorso anche realtà estere purché sviluppino il business in Italia? Che importanza ha per lei l’economia di questo Paese? Di cosa avrebbero bisogno oggi la scienza e la ricerca italiana?
Certamente perché il nostro Paese ha bisogno di nuovi posti di lavoro e di una economia che ritorni a crescere per uscire dal declino in cui la crisi economico-finanziaria l’ha portato. La «Ricerca» in Italia possiede riconosciute eccellenze a livello scientifico, medico e tecnologico grazie al suo ricco tessuto accademico, industriale e sociale ma per avere una economia sana di sviluppo occorre investire in ricerca produttiva e competitiva, in innovazione, in tecnologia e educazione delle generazioni future. Ciò che manca nel nostro Paese è un «sistema ricerca»  a livello  nazionale che abbia un chiaro processo strategico,  strumenti decisionali, di gestione e definizione di risorse che garantiscano efficienza ed efficacia. Per questo il percorso che porta da «Ricerca» ad impresa che genera valore, impatto sociale e crescita per il Paese è ancora complesso e difficile da intraprendere.

Quale consiglio dà ai giovani italiani di oggi?
Lavorare intensamente con dedizione e grande passione, determinazione ed ottimismo. E’ fondamentale avere l’umiltà di partire dal basso, ed apprendere ogni singolo dettaglio e fase del ciclo di vita del prodotto sempre con una visione ampia ed integrata. Fare molte esperienze professionali, guardarsi intorno ed avere la capacità di identificare e cogliere le migliori opportunità con l’ambizione di «rubare il mestiere» per migliorarsi continuamente.