Brexit, perché l'UE, invece, fa bene all'innovazione
L'UE sta facendo molto per i suoi stati membri nel campo dell'accelerazione digitale e dell'innovazione. Alcuni esempi del perché far parte dell'Unione Europea, in realtà, fa bene al tessuto imprenditoriale e innovativo del territorio
ROMA - Manca davvero poco al 23 giugno, data in cui gli inglesi saranno chiamati al referendum per decidere se lasciare o meno l’Unione Europea. E come ogni referendum che si rispetti, ha visto in questi mesi l’innalzarsi di schieramenti politici, culturali e la pubblicazione di numerosi sondaggi che, tuttavia, come confermano gli stessi quotidiani britannici, è meglio prendere con le pinze. Secondo l’ultimo sondaggio pubblicato dal Guardian, la maggioranza degli inglesi sarebbe favorevole alla cosiddetta Brexit, ovvero l’uscita del Regno Unito dall’UE. In uno scenario così complesso, è difficile prevedere cosa potrebbe accadere all’economia nel caso in cui vincessero gli inglesi anti Unione Europea. Si potrebbe, infatti, assistere a una fuga dal Regno Unito di tutte quelle aziende europee o che fanno affari in Europa e che hanno la loro sede legale in territorio britannico. E, in caso di Brexit, si creerebbe comunque un certo senso di incertezza e di sfiducia a livello europeo su questa istituzione, l’UE, a volte criticata, a volte elogiata. Eppure, per ciò che attiene all’innovazione e all’accelerazione digitale, questa Unione Europea è davvero così un buco nell’acqua? L’argomento va preso con le pinze, ma possiamo affermare che l’istituzione a cui spesso e volentieri dobbiamo attenerci sta facendo molto nel settore delle nuove tecnologie e delle startup, mantenendo una linea comune e, soprattutto, bacchettando i Paesi che fanno fatica ad adeguarsi, come molto spesso accade all’Italia.
La direttiva che mina il monopolio SIAE
Si chiama direttiva Barnier e ultimamente ha fatto muovere - specialmente in Italia - il popolo degli startupper a difesa di Soundreef, piattaforma innovativa per la gestione dei diritti musicali, in concorrenza con i monopolisti, che fornisce ai propri clienti un catalogo di musica di altissima qualità e corrisponde ai proprietari dei diritti d’autore le royalty in base alle effettive riproduzioni dei brani musicali in maniera rapida e trasparente. La stessa direttiva europea (n.26 del 2014) liberalizza la raccolta dei diritti d’autore e permette ad autori ed editori di scegliere a quale società di intermediazione affidarsi per la gestione dei propri diritti d’autore. Direttiva che, in Italia, non ha ancora ricevuto alcun riconoscimento, malgrado l’UE si sia espressa più volte al fine di velocizzare il recepimento della direttiva da parte del Governo Italiano. In questo senso l’UE si pone ancora una volta a favore del mercato libero, sostenendo la concorrenza e l’iniziativa imprenditoriale e innovativa.
E-commerce e mercato unico digitale
Dati alla mano, le aziende operanti nel mondo e-commerce, iscritte regolarmente al Registro delle Imprese, sono quasi 15mila. Sono praticamente raddoppiate negli ultimi 6 anni. Dati, questi, che sono destinati a crescere anche grazie alle recenti direttive europee elaborate al fine di dar vita a uno spazio comune per il rafforzamento del mercato unico digitale. Il pacchetto delle misure sull’e-commerce punta ad agevolare lo shopping online all’interno dell’Unione, abbattendo il geoblocking (blocco geografico ingiustificato) e concedendo quindi libertà di shopping online senza limitazioni di residenza o carte di pagamento.
Le linee guida sulla sharing economy
Anche qui stiamo parlando di un mercato fiorente che vede ogni giorno la registrazione di numerose startup che fanno della condivisione il loro modello di business. Da una parte l’innovazione e dall’altra la conservazione. Pensate a Uber e alle lotte funeste che si sono verificate (e ancora si verificano) con i tassisti. Qui la legge è importante per segnare una linea di demarcazione. Ed è quello che ha fatto l’UE con le nuove linee guida sulla sharing economy emanate all’inizio di giugno e che proibiscono Uber e Airbnb solo «come misura estrema» e, di fatto, le salvano. Del resto si tratta di un mercato decisamente importante: solo Uber e Airbbnb hanno fruttato nel 2015 in Europa ben 28 miliardi di euro. Una fetta di economia che non può essere ostacolata se si vuole impedire che le startup migrino altrove e questa volta oltreoceano.
Il gap italiano
Di fronte a un Europa che si dimostra al passo con i tempi e a una UE che incentiva i suoi Paesi membri all’alfabetizzazione digitale, l’Italia resta un Paese ancora sobbarcato dalla burocrazia e dall’ideologia di conservazione. Secondo il Digital Economy and Society Index 2016, il Belpaese è al 25esimo posto (su 28 Stati) per digitalizzazione dell’economia e della società. Una posizione che ci lascia primi solo alla Grecia, alla Bulgaria e alla Romania. E questo a causa di una legislazione troppo macchinosa, di una scarsa e lenta estensione della fibra ottica e soprattutto al grande grado di analfabetismo digitale degli italiani. In questo senso l’UE contribuisce a mantenete delle linee guida positive e innovative, forse non alla pari con quelle americane e asiatiche, ma che dovrebbero spingerci a fare sempre meglio.
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