24 aprile 2024
Aggiornato 17:30
food innovation

Scabin: «Vi spiego perché la tecnologia in cucina deve ancora fare tutto»

Davide Scabin, chef riconosciuto in Italia e in Europa, spiega perché la tecnologia in cucina deve ancora fare tutto, nonostante la stampa 3D

TORINO - Da una parte c’è l’esigenza di ritornare alla cucina di un tempo «quella delle nostre nonne», dove i prodotti sono «bio» per davvero e non soltanto perché lo dicono le etichette. Dall’altra c’è la stampa 3D e l’esigenza sempre più sentita di prodotti personalizzati, non solo con una forma speciale, ma perché sono aumentate le intolleranze e allora servono, per esempio, i prodotti «gluten free». Insomma, nel campo dell’innovazione culinaria, le strade sono molteplici e incredibilmente vaste.

La tecnologia in cucina
Il punto è che in cucina, dietro le porte scorrevoli che separano il mondo degli chef dai clienti spettatori, la tecnologia ha ancora tanto da fare. E se lo dice uno come Davide Scabin, chef patron del ristorante Combal.zero di Rivoli, riconosciuto in tutta Italia e anche nel mondo, c’è da crederci. «La tecnologia in cucina deve ancora fare tutto - dice Scabin a una platea di giovani arrivati all’I3P di Torino da tutta Italia per il #foodhackaton dedicato all’innovazione della filiera agroalimentare -. Pensate al gusto, al sapore che provate ogni volta che mettete in bocca qualcosa. C’è un’app o un algoritmo in grado di ricostruire la medesima sensazione?». Se da una parte la stampa 3D può facilitare le forme personalizzate e dall’altra alcune tecnologie avanzate riconoscere la presenza di zuccheri o altri componenti chimici all’interno degli alimenti, sul lato del piacere, l’innovazione tecnologica rimane a zero e, forse, è anche meglio così. In un mondo magico - quello dei fornelli - dove a farla da padrone dev’essere l’innovazione creativa, quella che genera stupore e ilarità, proprio come accade nella cucina di Scabin dove si sapori tradizionali si mischiano con la modernità e la fantasia.

Il gusto non si sostituisce
«Pensate, ad esempio, al sale - continua Scabin -. Non tutte le persone percepiscono il salato nello stesso modo, malgrado noi italiani siamo tra le comunità che più in assoluto utilizzano il sale nella loro dieta». Si tratta di un concetto personale, emozionale, dove la tecnologia stenta ad arrivare. «E ora pensate di poter creare un’innovazione in grado di determinare una scala del salato e proporla al mercato. Secondo me potete fare i soldi. Al ristorante si potrebbero chiedere le patatine salate a livello 2 oppure 4. Sempre che siate in grado di costruire una scala reale del salato». Il concetto sfiora la matematica, anche se rimane sul piano chimico e qualche startupper, in effetti, si illumina. Ma le parole di Scabin sono chiare: la tecnologia può aiutarci, ma al momento non è ancora in grado di sostituire la cucina, soprattutto come la intendiamo noi italiani.

Innovare la filiera agroalimentare
Ciò su cui gli startupper ora debbono concentrarsi è la ricerca di un bisogno vero e tangibile al quale dare una soluzione. E bisogni concreti ce ne sono soprattutto quando si parla di filiera agroalimentare e dove emerge oggi la forte esigenza di conoscere e di sapere da dove arrivano i cibi di cui ci alimentiamo. «Tornate alla cucina della nonna - conclude Scabin - dove i prodotti erano ‘bio’ davvero, dove le allergie praticamente non esistevano e concentratevi su questo». Perché forse per innovare, a volte, è necessario guardare anche un po’ indietro.