Oltre il tabł. Come funziona lo «Stato» islamico, e cosa fare per abbatterlo
Le cancellerie occidentali sono determinate a non chiamarlo pił «Stato islamico», per non legittimarne le ambizioni statuali. Ma la realtą č che, nonostante il nostro tabł, l'Isis č e rimane molto pił di un semplice gruppo di tagliagole. E per abbatterlo dobbiamo esserne consapevoli
ROMA - Dopo quel maledetto 13 novembre, in Occidente qualcosa (o forse tutto) è cambiato. La parola «guerra» è tornata prepotentemente a popolare le cronache internazionali e nazionali, perché per la prima volta concretamente quel «nemico» lontano e astratto ha sfondato la porta di casa nostra e versato il nostro sangue. L'Isis - e tutti i «satelliti» europei più o meno solitari che gli ruotano intorno - non è più un fantasma lontano, ma un mostro capace di fare paura anche in Occidente. L'Isis è diventato ufficialmente nemico nostro, obiettivo (o almeno uno dei tanti) delle nostre bombe e il principale protagonista dei nostri discorsi da quasi un mese a questa parte. Eppure, per abbattere un nemico è necessario conoscerlo. E noi quanto bene conosciamo il famigerato Daesh?
Stato o non Stato? Il nodo della questione
Lo conosciamo dall'immagine delle violenze che abbiamo captato in Tv, e da quello che sentiamo distrattamente durante telegiornali e reportage. Eppure, tutto ciò non è abbastanza, soprattutto perché non ci siamo ancora risposti a una domanda fondamentale: l'Isis è davvero uno Stato? Il particolare, è chiaro, fa tutta la differenza del mondo. Perché un conto è combattere contro un'entità inconsistente e sfuggente come un gruppo terroristico; tutt'altro, invece, fare la guerra contro un soggetto che controlla un territorio, ha un'organizzazione burocratica e militare, e che aspira al riconoscimento internazionale. L'Isis è uno Stato, dunque? Di certo, gli uomini di Al Baghdadi stanno facendo di tutto per farcelo credere. Buona parte della sua propaganda e numerosi editoriali su Dabiq sono diretti a rivendicare, agli occhi dell'Occidente, la propria natura statuale. E la centralità della questione è attestata anche dalla determinazione, diffusasi a macchia di leopardo nelle cancellerie europee ed occidentali, di eliminare definitivamente la dicitura «Stato islamico»: la contro-propaganda di casa nostra, cioè, nel tentativo di non cadere nel tranello del nemico, adotta una terminologia tesa a rifiutare la legittimazione del Califfato quale nuova incarnazione dell'islam politico, dopo che l'ultimo Califfato era stato abolito da Ataturk nel 1924. Eppure, «ciò che non deve essere nominato» sembra esistere malgrado noi, nonostante la nostra tenace volontà di non riconoscerlo.
Non un semplice gruppo jihadista
A dimostrarlo, il recentissimo scoop di The Guardian, che ha pubblicato il manuale dell'Isis per costruire uno Stato in Siria e Iraq. Documento di 24 pagine, esso contiene tutte le indicazioni utili per stabilire relazioni internazionali, operazioni di propaganda, controllo centralizzato di petrolio, gas e altre merci fondamentali per la sua economia: molto di più di quanto abbiano fatto i «classici» gruppi jihadisti negli ultimi 50 anni. Salute, educazione, commercio, comunicazione e lavoro: di questo tratta il manuale, scritto nei mesi successivi alla proclamazione del Califfato da parte di Al Baghdadi il 28 giugno 2014. Insomma: l'Isis è qualcosa di diverso da un mero gruppo di tagliagole che terrorizza il mondo. E' anche una struttura complessa, con una propria organizzazione e una propria burocrazia. Un aneddoto può forse darci un'impressione più concreta di quello di cui stiamo parlando. Emanuela De Re, su Limes, ricorda il suo incontro con Hānī ’Īliyās Hermes, un cristiano caldeo rifugiato nel campo di Mār ’Īliyās ad ‘Ankāwā, nel Kurdistan iracheno. L'autrice racconta, in particolare, di una lettera inviata a Hermes dal Daesh, che gli intimava, se avesse voluto rimanere nel Califfato, di convertirsi all'islam o di pagare la ğizya, tassa di compensazione. L'alternativa sarebbe stata quella di abbandonare la propria casa e i propri averi entro sera senza portarsi dietro nulla. La lettera era scritta a computer e presentava timbro, data e numero di telefono di riferimento per «ulteriori informazioni». Un semplice pezzo di carta che dimostra quanto lo Stato islamico, in realtà, sia concreto.
Una struttura complessa e organizzata
La struttura del Califfato è sempre più sofisticata, e adatta alcuni elementi della šarī‘a alla vita moderna. Intorno alla figura del Califfo esistono veri e propri dipartimenti: un consiglio di sicurezza, un consiglio militare, un'organizzazione amministrativa dei territori, un dipartimento delle finanze, un consiglio dei media, un consiglio della sura - formato da decisori che stabiliscono le politiche del Califfato -, un consiglio della šarī‘a - di natura teologica e giuridica -, e un gruppo esteso che comprende comandanti ed emiri. La capacità di distribuire cariche a membri locali e stranieri è pura strategia. L’idea di attribuirne anche agli stranieri scongiura il rischio che chi viene da fuori si faccia tentare da ambizioni sovversive. Non solo: l'Isis batte moneta, pur pagando i suoi uomini in dollari; il suo territorio ha una capitale - Raqqa - ed è diviso in province, dal chiaro valore propagandistico oltre che organizzativo. E ancora, l'Isis si avvale di organi di propaganda finemente orchestrata per diffondere il suo messaggio.
Punti deboli
Ma la natura statuale dell'Isis è ambigua e contraddittoria: Daesh ha tutta l'apparenza e l'organizzazione di uno Stato, ma non lo è nel senso tradizionale del termine, in quanto più che governare i territori conquistati li sfrutta. Ecco perché il suo «essere Stato» è, insieme, il suo punto di forza e di debolezza: è sì organizzato e burocratizzato, ma non solido, perché più simile a una forma di pirateria. La presenza di affiliati stranieri che avrebbero aderito a qualunque causa in nome del profitto, l'esistenza di strutture parallele di leadership, con comandanti veri e comandanti aggiunti, un'ideologia basata sull'adesione acritica fondata su un modello economico obsoleto sono, per De Re, le falle su cui il Califfato potrebbe franare. Insomma: se l'essere «Stato» è il suo punto di forza, esso rappresenta anche il suo tallone d'Achille. E quanto a noi, possiamo continuare a rifiutarci di chiamarlo «Stato islamico»; ma potrebbe essere proprio la sua natura statuale la chiave per abbattere il nostro nemico.
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