23 aprile 2024
Aggiornato 08:30
Medio Oriente

Netanyahu accetterà una «qualche forma» di piano pace arabo

Fonti: lo dirà al presidente Obama il 18 maggio prossimo

GERUSALEMME - Il governo Netanyahu è pronto ad accettare una «qualche forma» del piano di pace arabo in cambio di maggiori aiuti da parte degli Stati Uniti per fronteggiare la minaccia iraniana. Lo riferisce il sito web del Jerusalem Post, che cita fonti vicine all'esecutivo. Non è chiaro - precisa il Jerusalem Post - se gli aiuti richiesti a Washington comprendano anche un sostegno logistico nel caso di un attacco militare israeliano contro i siti iraniani.

Il piano di pace arabo, presentato dall'Arabia Saudita nel 2002, e rilanciato nel 2007, prevede la normalizzazione dei rapporti tra Israele e i Paesi arabi in cambio del completo ritiro israeliano dai territori occupati nel 1967 e di una «giusta» soluzione della questione dei rifugiati palestinesi.

Secondo le fonti, il premier Benjamin Netanyahu, impegnato in una revisione della politica estera israeliana, in occasione della sua visita alla Casa Bianca del prossimo 18 maggio potrebbe proprio annunciare la sua accettazione di una «qualche forma» dell'iniziativa araba, e ciò rappresenterebbe una significativa concessione da parte del governo di Gerusalemme.

Un altro funzionario israeliano ha comunque spiegato al Jerusalem Post che si tratterebbe di una concessione più formale che sostanziale, poiché di fatto anche i precedenti governi israeliani si erano espressi a favore del piano di pace saudita. «Il presidente Peres ha definito l'iniziativa 'importante', e anche per l'ex premier Ehud Olmert ci sono alcuni 'elementi positivi'». Ma l'accettazione di alcune parti del piano non vuole dire che Israele lo accetterà integralmente: «Il problema principale è la richiesta del ritorno dei rifugiati», ricorda il funzionario.

Il portavoce del ministero degli Esteri israeliano Yossi Levy su questo punto ha spiegato: «La posizione israeliana è nota. Quando parliamo di un ritorno dei rifugiati alle loro case, non parliamo delle loro case personali, poiché sarebbe impossibile, ma alla loro casa nazionale», ossia un possibile futuro Stato. «Quindi c'è qualcosa su cui si può parlare».