Fed verso un'«altra stretta» sui tassi. Trump contro: «Dia retta ai mercati»
E' probabile che il governatore Powell - da mesi attaccato dal Presidente americano - resista alla pressione giunta da più parti affinché lasci i tassi al 2-2,25%, livello a cui furono portati lo scorso settembre con un aumento di 25 punti base
NEW YORK - Un rialzo dei tassi di 25 punti base e un rallentamento delle strette monetarie previste nel 2019. E' questo l'esito più probabile dell'ultima riunione del 2018 della Federal Reserve, che così ignorerebbe il pressing del 45esimo presidente americano Donald Trump. Soltanto ieri l'inquilino della Casa Bianca è tornato a inveire su Twitter contro la banca centrale Usa. Secondo lui dovrebbe dare retta al mercato, reduce da due giorni di pesanti sell-off, ed evitare un «nuovo errore». Ieri aveva scritto che è «incredibile» che la Fed stia «anche solo pensando» ad un'altra stretta a fronte di un dollaro «molto forte» e di un'inflazione «virtualmente inesistente».
Quello che la Fed annuncierà oggi alle 20 italiane potrebbe essere il quarto aumento del costo del denaro dell'anno in corso e il nono da quando, nel dicembre 2015, Janet Yellen iniziò la normalizzazione della politica monetaria per la prima volta dal giugno 2006. Se allora la Fed decise poi di posticipare di un altro anno la stretta successiva, questa volta il suo successore Jerome Powell potrebbe aggiustare la rotta futura della banca centrale senza però abbandonare la strada già inboccata. Perché è vero che gli indici principali a Wall Street sono finiti in correzione, status definito da un calo di almeno il 10% dagli ultimi record, ma l'economia Usa continua a crescere a un passo annualizzato del 3,5%, con un tasso di disoccupazione ai minimi del 1969 (al 3,7%) e una crescita dei salari che a novembre ha continuato ad accelerare (del +3,1% annuale, top dal 2009). E' probabile che il governatore Powell - da mesi attaccato da Trump - resista alla pressione giunta da più parti affinché lasci i tassi al 2-2,25%, livello a cui furono portati lo scorso settembre con un aumento di 25 punti base.
Powell è noto per essere insensibile ai sell-off di borsa: lo dimostrò lo scorso marzo, quando annunciò un rialzo dei tassi nonostante i cali dei listini americani osservati il mese precedente (ieri l'S&P 500 si è portato sotto i minimi dell'8 febbraio salvo recuperare quota oggi). Inoltre, non alzare i tassi come quasi tutti prevedono potrebbe mandare in tilt i mercati finanziari. Perché? Una simile mossa indicherebbe che la Fed è davvero preoccupata della congiuntura globale, un timore che venerdì scorso aveva provocato un sell-off a Wall Street dovuto a dati macroeconomici soft giunti dalla Cina e dall'Europa. Inoltre, lasciare i tassi al 2-2,25% potrebbe indurre qualcuno a mettere in dubbio l'indipendenza della Fed, chiamata a garantire la stabilità dei prezzi e la piena occupazione basando le sue decisioni sui dati macroeconomici.
Oltre all'annuncio sui tassi, la Fed diffonderà anche le sue nuove stime economiche (forse limate) e quelle particolarmente importanti sul numero delle strette attese nel 2019. A settembre - l'ultima volta che le diffuse - l'istituzione ne aveva messe in conto tre ma non è escluso che le riduca a due. Anche così, comunque, la Fed potrebbe deludere chi ha calcolato a malapena un rialzo dei tassi. Powell avrà modo di fornire spiegazioni nella conferenza che inizierà alle 20.30 italiane, un appuntamento che dall'anno prossimo seguirà ogni riunione della Fed (e non più una sì e una no). La conferenza, si spera, porterà un po' di chiarezza. Quella che Wall Street - già messa alle prove dalle tensioni commerciali tra Usa e Cina - vuole e senza la quale resta in preda alla volatilità.
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