23 aprile 2024
Aggiornato 17:30
Per l'Ocse il calo della materia prima farà salire il Pil italiano ed europeo

Il ritorno del prezzo del petrolio alla media fa bene a tutti (o quasi)

Il costo del greggio, che sta tornando verso il suo valore medio degli ultimi 60 anni, sta continuando ad animare un vivace dibattito nel mondo. Per l'Italia, Paese che non produce grandi quantità di greggio, è una buona notizia, così come per gran parte dell'Eurozona e degli Stati importatori netti di «oro nero».

ROMA – Il prezzo del petrolio, che sta tornando verso il suo valore medio degli ultimi 60 anni, sta continuando ad animare un vivace dibattito nel mondo. Per l'Italia, Paese che non produce grandi quantità di greggio, è una buona notizia, così come per gran parte dell'Eurozona e degli Stati importatori netti di «oro nero».

OCSE, PETROLIO FA SALIRE PIL - Lo ha certificato recentemente l'Ocse, che ha rivisto al rialzo, rispetto a quanto pronosticato nel novembre scorso, le stime di crescita di Roma, Parigi e Berlino. Per quanto ci riguarda l'Organizzazione parigina ha stimato un Pil in crescita dello 0,6 per cento quest'anno (+0,4% rispetto a novembre), e dell'1,3 per cento per il prossimo anno (+0,3%). Riguardo la zona euro l'Ocse ha previsto un incremento dell'1,4 per cento nel 2015 del 2 per cento nel 2016. L'Organizzazione ha motivato le sue stime al rialzo, spiegando che il miglioramento è dovuto principalmente a «prezzi del petrolio più bassi» e al «Quantitative easing intrapreso dalla Bce».

FMI, BENE PETROLIO MA PESANO MINORI INVESTIMENTI - Anche il Fondo monetario internazionale ha rivisto a gennaio 2015 il proprio World economic outolook pubblicato nell'ottobre 2014, dando ampio risalto alla discesa del costo del greggio. Nell'aggiornamento però, l'istituzione americana ha rivisto al ribasso la crescita mondiale al 3,5 per cento per il 2015 (-0,3% rispetto a ottobre) e al 3,7 nel 2016 (-0,3%). Secondo il Fmi la «crescita mondiale riceverà una spinta dalla discesa dei prezzi del petrolio», questa tendenza però sarà controbilanciata da «fattori negativi, tra cui la debolezza degli investimenti». Per l'Italia il Fmi ha stimato il Pil allo 0,4 per cento quest'anno (-0,5%) e allo 0,8 per cento nel 2016 (-0,5%), mentre per l'Eurozona ha previsto un +1,2% nel 2015 (-0,2%) e un +1,4% nel 2016 (-0,3%). Per quanto riguarda i principali Paesi esportatori di Petrolio, da Washington hanno tagliato notevolmente le previsioni di crescita: Arabia Saudita (- 1,6%), Russia (- 3,5%) e Nigeria (- 2,5%).

LO STUDIO DI OXFORD ECONOMICS - Nel dicembre scorso invece la Oxford economics (un'iniziativa commerciale dell'Università di Oxford) ha pubblicato lo studio «Oil-ipedia» che ha trovato ampio risalto sulla stampa internazionale. Secondo i ricercatori tra il 2015 ed il 2016 prezzi del greggio tra i 70 e i 40 dollari faranno diminuire il Pil di Russia, Arabia saudita, Norvegia, Olanda, Danimarca, Emirati arabi uniti, Regno unito, Taiwan, Polonia e Malesia. Con il petrolio intorno ai 40 dollari al barile, stando alla ricerca, per la Russia l'impatto sul Pil sarebbe superiore al 3,5 per cento, e quasi del 4 per l'Arabia saudita. Contrazione superiore all'1,5 per cento per gli Emirati arabi uniti e di poco più dell'1 per cento per la Norvegia. La Malasia vedrebbe scendere il proprio prodotto interno dello 0,5, mentre Danimarca Polonia vederebbero una diminuzione intorno allo 0,2 per cento. Più contenute le discese per Olanda, Taiwan e Regno unito. Sull'altro piatto della bilancia il Paese con il Pil in minor crescita sarebbe l'Italia (0,8%, +0,3%) mentre quello più avvantaggiato sarebbero le Filippine (7,6%, +1,6%).