15 ottobre 2025
Aggiornato 02:30
Il Governo Rajoy costretto a rivedere la legge sul copyright

La Spagna vince sugli aggregatori, ma perde con Google

L'Esecutivo spagnolo e gli editori nazionali dell'Aede, soccombono davanti al gigante del web. E anche tutti gli altri paesi europei non riescono a far fronte allo strapotere di Big G.

MADRID - C'era una volta il record, decisamente imbarazzante per la Spagna, di essere tra i campioni mondiali della pirateria informatica. Di fronte a tanta vergogna, e per placare gli animi agguerriti dell'Aede (l'Associazione degli editori spagnoli), salvaguardando i loro diritti d'autore, ai primi di gennaio ha visto la luce la nuova legge sul copyright. Tuttavia, il risultato della normativa, varata dal governo del Partito Popolare di Mariano Rajoy, non solo non soddisfa le aspettative; ma si è dimostrata un pericolosissimo boomerang dal quale mettersi in salvo il più rapidamente possibile. Tanto che è stato lo stesso esecutivo a dover ammettere l'urgenza di rimettere mano alla normativa.

IL CASO: LA NUOVA LEGGE SUL COPYRIGHT DEL GOVERNO RAJOY - La nuova legge sul copyright, infatti, prevede multe salatissime – fino a seimila euro – per la violazione del diritto d'autore sul web. Il testo di legge include nella lotta alla pirateria anche le pagine di link che forniscono l'accesso a siti nei quali si trovano contenuti non autorizzati: una minaccia costosissima, che ha indotto molti autori di blog a smantellare i propri siti, nel timore di ripercussioni burocratico-amministrative spropositate. Si tratta, in sostanza, di una «tassa sui link»: il provvedimento, passato in Senato con un margine strettissimo di voti (172 favorevoli contro 144 contrari) e concepito per dare risposta alle pressanti richieste degli editori nazionali, si regge sulla convinzione che la possibilità di fornire a terzi un link o anche solo un'anteprima di titolo e sommario di un certo contenuto, da parte di un aggregatore (Google come altri motori di ricerca), debba essere accompagnata da una tassa per «ripagare» i creatori della fonte medesima dell'usofrutto del loro diritto d'autore.

IL WEB METTE IN CRISI IL DIRITTO D'AUTORE - Nulla di più logico, se non fosse che sono proprio la struttura e la natura stessa della «rete» - del web, di Internet – a mettere in crisi non solo il vecchio modo di fare e produrre informazione, ma anche il diritto d'autore in quanto tale. Perché la rete è essa stessa condivisione: un bene «comune» alla cui fonte tutti devono avere lo stesso diritto di abbeverarsi. Chi pubblica un contenuto sul web, sa già per certo che altri utenti potranno accedervi e leggervi le informazioni in esso contenute. Il punto, semmai, è piuttosto quello di disciplinare la navigazione nel tumultuoso mare di Internet: garantire il rispetto delle norme relative alla concorrenza, la qualità delle fonti, il diritto all'oblio. E qui iniziano i problemi.

IL SEGRETO DEGLI UTILI DI BIG G - La celebre questione della Google tax (cioé la proposta di costringere alcune tra le più grandi società online del mondo – come la stessa Google, ma anche Facebook e Amazon per dirne altre - di versare delle tasse ai paesi in cui operano), nasce dal fatto che queste aziende registrano ricavi considerevoli sfruttando le tassazioni più vantaggiose di paesi terzi in cui hanno scelto di avere la sede legale. Oltre a ciò, c'é un altro aspetto della questione da considerare con attenzione: sarebbe il caso di dividere i servizi di ricerca, da quelli con finalità commerciali. Il modello economico del gigante «Big G» (esattamente come quello degli altri) si fonda sulla capacità di ottenere molteplici informazioni sugli utenti in cambio dell'utilizzo del suo motore di ricerca: offre informazioni, ma ne ruba altrettante! Il bacino gigantesco di dati di cui dispone gli fornisce gran parte dei suoi profitti attraverso l'offerta di servizi di pubblicità e marketing online. I protagonisti di questa complessa battaglia virtuale sono gli utenti da un lato – ignari navigatori di Internet costantemente soggetti al furto di informazioni personali -, dall'altro gli interessi commerciali dei giganti come Google, ma anche l'editoria - che cerca di sopravvivere in un panorama sempre più difficile per la tutela del diritto d'autore – e i singoli paesi nazionali che sfidano la concorrenza illegale dei colossi del web.

COSA FANNO GLI ALTRI PAESI EUROPEI - La Spagna ha scelto la strada – a dir poco ostica – di produrre una normativa sul copyright e applicare una vera e propria Google tax: e gli altri paesi europei? In Francia, il governo si è accontentato di una tassa una tantum: Google ha accettato di versare un obolo da 60 milioni di euro per favorire la diffusione digitale della stampa transalpina. In Germania, per ora, ha stravinto Big G: il più grande imprenditore tedesco, Axel Springer, ha rinunciato alle sue velleità indipendentiste piuttosto rapidamente – nel giro di un paio di settimane - quando ha capito che la battaglia contro Google gli stava costando la maggior parte del traffico sui suoi siti. Aveva deciso di boicottare la visualizzazione dei suoi contenuti sul motore di ricerca, ma il gioco non valeva la candela perché nessuno – o quasi – li guardava più. In Italia, lo scontro è fermo ai blocchi di partenza, nonostante la battaglia per il diritto d'autore sul web sia stata uno dei cavalli di battaglia del presidente del Consiglio, Matteo Renzi.

UNO A ZERO PER GOOGLE - La guerra contro i giganti del web si combatte a suon di Google tax, leggi sul copyright e diritto all'oblio. Ma, per ora, il primo round sembra averlo vinto proprio Big G: perché anche il governo di Rajoy, in apparenza così determinato a portare avanti la sua battaglia, dovrà fare retrofront e procedere ad un'ampia revisione della normativa appena sfornata. Il motivo? Dopo l'annuncio della nuova legge, è stato il gigante di Mountain View a battere i pugni sul tavolo, forse anche per dare un segnale forte e chiaro dinnanzi al montare delle proteste crescenti che giungono da tutta Europa nei suoi confronti. La risposta a Rajoy non si è fatta attendere, e a metà dicembre Google news ha annunciato di voler smantellare il suo portale iberico: primo caso al mondo. Gli stessi editori dell'Aede, che avevano sollecitato la normativa entrata in vigore, si sono arresi all'evidenza della forza incontrastata di Google: hanno visto precipitare vertiginosamente le visite ai loro siti, e hanno accettato di non poter fare a meno – almeno per il momento – di Big G. Come, forse, la maggior parte di noi.