Marchionne: La FIAT resterà in Italia
Il titolo di «Repubblica» annuncia «La Fiat resterà in Italia»: ma l'intervista-fiume a Sergio Marchionne realizzata dal direttore del quotidiano, Ezio Mauro, dipinge un quadro parecchio più complesso. Il progetto di Marchionne in un mercato del lavoro in crisi in Italia
ROMA - Il titolo di «Repubblica» annuncia «La Fiat resterà in Italia»: ma l'intervista-fiume a Sergio Marchionne realizzata dal direttore del quotidiano, Ezio Mauro, dipinge un quadro parecchio più complesso. Il progetto di Marchionne in un mercato del lavoro in crisi in Italia è «Sopravvivere alla tempesta con l'aiuto di quella parte dell'azienda che va bene in America del Nord e del Sud, per sostenere l'Italia: mi pare che sia un progetto strategico». L'ad di Fiat risponde alle polemiche dopo il comunicato che dichiarava superato il progetto di «Fabbrica Italia».
E promette: ai ministri del governo Monti risponderà, «se mi cercano li vedrò, certo», però «mi impegno ma non posso farlo da solo. Ci vuole un impegno dell'Italia. Io la mia parte la faccio, non sono parole. Quest'anno la Fiat guadagnerà più di 3 miliardi e mezzo a livello operativo, tutti da fuori Italia, netti di questi 700 milioni che perderà nel nostro Paese».
«Sergio Marchionne» è la prima domanda di Ezio Mauro, «in poche righe di comunicato lei ha seminato il panico sul futuro della Fiat in Italia, poi se n'è andato in America senza spiegare niente. Qui ci si interroga sul destino di stabilimenti, famiglie, comunità di lavoro, città. Cosa sta succedendo, e che cosa ha in mente?». E Marchionne: «Attorno a Fabbrica Italia si stava montando una panna del tutto impropria, utilizzando il nome della Fiat per ragioni solo politiche: a destra e a sinistra, perché noi siamo comunque l'unica realtà industriale che può dare un senso allo sviluppo per questo Paese. Capisco tutto, ma quando vedo che veniamo usati come parafulmine, non ci sto». ..... E la verità è che «La Fiat sta accumulando perdite per 700 milioni in Europa, e sta reggendo a questa perdita con i successi all'estero, Stati Uniti e Paesi emergenti. Queste sono le uniche due cose che contano». E Marchionne sottolinea: «Se la sentirebbe di investire in un mercato tramortito dalla crisi, se avesse la certezza non solo di non guadagnare un euro ma addirittura, badi bene, di non recuperare i soldi investiti?». Ma, aggiunge, «In questa situazione drammatica, io non ho parlato di esuberi, non ho proposto chiusure di stabilimenti, non ho mai detto che voglio andar via. Le assicuro che ci vuole una responsabilità molto elevata per fare queste scelte oggi».
Nella lunghissima intervista a «Repubblica», Marchionne dettaglia tutti i guai della produzione in Italia. Responsabilità nazionale? «Scusi,se il quadro è quello che le ho detto, si immagina cosa farebbe un qualunque imprenditore al mio posto? Cosa farebbe uno straniero, in particolare un americano, un uomo d'azienda con cultura anglosassone?». Quanto all'impegno di Fabbrica Italia, «era basato su cento cose, e la metà non ci sono più per effetto della crisi. Lo capirebbe chiunque. Io allora puntavo su un mercato che reggeva, ed è crollato, su una riforma del mercato del lavoro, e ho più di 70 cause aperte dalla Fiom».
Alla domanda perchè i produttori europei sfornino modelli e la Fiat in Europa no, Marchionne replica «se io avessi lanciato adesso dei nuovi modelli avrebbero fatto la stessa fine della Panda di Pomigliano, la miglior Panda nella storia, 800 milioni di investimento, e il mercato non la prende perchè il mercato non c'è».
Nel mercato europeo, la Fiat crolla più degli altri: «perché per noi il mercato italiano è assolutamente preponderante, pesa più di quello degli altri paesi» replica l'ad del Lingotto.
E quando gli viene prospettato il timore che una Fiat americana non si occupi della produzione italiana, Marchionne sottolinea: «Io gestisco un'azienda che fa 4 milioni e 100mila vetture l'anno. Sono andato a Las Vegas e fra novità e restyling abbiamo fatto vedere ai concessionari 66 vetture. Si rende conto? E' il segno di un'espansione commerciale fantastica di un'azienda globale». Perché «Lei non può pensare alla Fiat soltanto come un'azienda italiana. Sarebbe in ritardo di dieci anni. La Fiat opera nel mondo, con le regole del mondo. Per essere chiari: se io sviluppo un'auto in America e poi la vendo in Europa, guadagnandoci, per me è uguale e deve essere uguale».
E quindi la sua strategia: «cerco di assecondare la ripresa del mercato Usa sfruttandola al massimo per acquisire quella sicurezza finanziaria che mi consenta di proteggere la presenza Fiat in Italia e in Europa in questo momento drammatico».
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