29 marzo 2024
Aggiornato 08:00
Scommesse

Stanley chiede all'Italia maxi-risarcimento da 1,5 miliardi

Una richiesta vicina alla raccolta del primo quadrimestre 2010 del settore scommesse nel nostro paese

ROMA - Il bookmaker Stanleybet chiederà un risarcimento da 1,5 miliardi di euro al Governo italiano per «danni diretti, perdita di profitti, perdita di opportunità commerciali e danni di immagine» maturati nel corso del periodo che va dal 1998 al 2006. E' quanto si legge in una nota dell'operatore che ha inviato la richiesta di risarcimento alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il caso sarà discusso di fronte al Tribunale Civile di Roma. Si tratta del più grosso risarcimento chiesto da un operatore privato a un Governo di uno Stato membro nella storia dell'Unione Europea, quasi pari all'intera raccolta del settore scommesse in Italia nel primo quadrimestre 2010 (1,7 miliardi di euro).

«Siamo all'ultima risorsa» dice John Whittaker, Chief Executive della Stanleybet «siamo sempre stati disponibili a trovare una soluzione condivisa con il Governo Italiano. Invece da 12 anni a questa parte siamo ancora costretti a combattere per far valere i nostri diritti». Secondo Whittaker l'Italia «non offre agli utenti il beneficio della scelta e della qualità garantito da un mercato delle scommesse sportive realmente aperto. Siamo spiacenti che le circostanze non ci abbiano lasciato altre alternative». La Stanleybet lamenta di essere stata «ripetutamente esclusa dall'accesso al mercato italiano del gioco e costretta ad avviare oltre 2 mila azioni legali. In più di un'occasione trovando accoglimento da parte della Corte di Giustizia Europea e dalle supreme corti nazionali italiane, inclusa la Cassazione e il Consiglio di Stato».

La richiesta di 1.533 milioni di euro - in pratica quasi l'intera raccolta del settore scommesse nel primo quadrimestre, che ha superato di poco gli 1,7 miliardi - viene così motivata dall'operatore: 887,2 milioni di profitti persi, 29,3 milioni per danni accessori e spese, 362,2 milioni persi per mancate opportunità di sviluppo commerciale (esclusione da nuovi bandi) e 254,3 milioni in danni all'immagine e alla reputazione della società.

Lunghissima in questi anni la trafila di centri di trasmissioni dati legati a Stanley, sequestrati dalle forze dell'ordine e riaperti per ordine dei vari tribunali, sempre in bilico fra applicazioni della normativa italiana e recepimento delle indicazioni a livello comunitario.

L'ultimo aggiornamento della lunghissima battaglia legale risale a gennaio 2010, quando la Corte di Cassazione ha passato la palla alla Corte di Giustizia Europea, a cui è richiesto un «parere pregiudiziale», per stabilire la conformità del bando Bersani al diritto comunitario.

In ballo, gli articoli 43 e 49 del Trattato Ue, sulla libertà di stabilimento e circolazione dei servizi. L'interpretazione degli articoli in questione, secondo i giudici della Corte di Cassazione, «conserva margini di incertezza che non sono stati risolti dalle pronunce precedenti della Corte Ue», in particolare in presenza di un regime come quello italiano nel quale «esiste un generale indirizzo di tutela dei titolari di concessioni rilasciate in epoca anteriore e al termine di una gara (nel 1999, ndr) che aveva illegittimamente escluso una parte degli operatori».

Nel 2006, all'epoca del bando Bersani, Stanleybet aveva chiesto ai Monopoli di Stato di partecipare alla gara per l'acquisizione dei diritti mantenendo anche la propria rete di centri di trasmissione di scommesse verso l'Inghilterra. Aams aveva risposto negativamente, spingendo il bookmaker ad avviare una serie di azioni legali che hanno l'obiettivo di rendere illegittimo anche il riordino della rete di accettazione disegnato dal decreto Bersani (Agipronews)