27 aprile 2024
Aggiornato 07:00
I dati semestrali dell’unione industriali confermano il calo dell’export del17,5

A Prato crisi e riscossa

Dalle esportazioni italiane di tessile-abbigliamento e calzature nel 2008 un surplus di 16 miliardi di euro

Da Prato, uno dei bastioni del tessile italiano giungono i primi segnali concreti di ripresa: nel secondo trimestre dell’anno le vendite provinciali all’estero di abbigliamento e maglieria sono aumentate del 10,7 per cento rispetto allo stesso periodo del 2008.
Purtroppo è una rondine che ancora non fa primavera. Se infatti lo sguardo si allarga alle esportazioni complessive del distretto, il calo delle vendite all’estero nei primi sei mesi dell’anno è stato del 17,5.

SPIRAGLI - «Rispetto ai risultati catastrofici del primo trimestre del 2009, a partire dalla fine di luglio, e anche dal clima delle fiere che si sono tenute in questi giorni, sembra che l’umore sia un po’ migliorato. Le imprese ricominciano a sperare che l’inversione di tendenza non sia lontana», è stato il commento ai dati pubblicati dall’Unione industriale di Prato, di Raffaella Pinori, vicepresidente degli industriali pratesi.
Le esportazioni dell’industria tessile e dell’abbigliamento rappresentano l’85 per cento dell’export totale della provincia di Prato.
«Siamo in difficoltà , ma non bisogna dimenticare che il nostro territorio rappresenta il 18 per cento dell’export tessile nazionale, che a sua volta ha avuto una contrazione molto maggiore della nostra pari al 26,9 per cento» ha aggiunto Raffaella Pinori.

REGGE L’EXPORT - I numeri comunque danno ragione a questo settore, nonostante la crisi, anche a livello nazionale: nell’anno horribilis della crisi l’export del tessile-abbigliamento-calzature è stato di 38 , 9 miliardi di euro, che equivalgono al 10,5 delle esportazioni complessive italiane. Un risultato secondo solo ai macchinari industriali e al trasporto. Inoltre il surplus della bilancia dei pagamenti del settore ha sfiorato i 16 miliardi di euro, mentre gli occupati sono circa un milione, se si includono anche gli addetti al commercio.
Purtroppo la dimensione continua ad essere uno dei problemi irrisolti: soltanto dieci aziende su un totale di 63 mila superano il miliardo di euro di fatturato e la maggior parte non riesce a superare la taglia extra small.

LA LEGGE «99» - Il governo lo scorso agosto ha dato una mano all’esercito delle piccole aziende varando una legge contro la contraffazione che impone l’obbligo della rintracciabilità del prodotto. Ora le etichette dovranno avvertire il consumatore se il prodotto che acquistano è stato fabbricato in Italia o proviene dall’estero.
La contraffazione è, però, un problema ben lungi dall’essere risolto. Al contrario gli ultimi dati confermano che il fenomeno si è ancora maggiormente acuito con la crisi.
Secondo le più recenti cifre fornite dall’Ocse il 70 per cento dei prodotti contraffatti proviene dall’Asia. Ma del restante 30 per cento proveniente dal Mediterraneo, l’Italia risulta essere il paese più coinvolto attivamente nelle contraffazioni con ben l’80 per cento di quanto arriva da questa area.

CONTRAFFAZIONE ALL’ITALIANA - «La crisi morde, ci sono imprese in difficoltà che, tentate dalla necessità di mantenere bassi i costi rischiano di cadere nel tranello della contraffazione», ha denunciato ieri l’assemblea generale di Indicam, l’istituto di Centromarca per la lotta alla contraffazione.

«E’una tendenza che può comportare effetti pesanti per il sistema produttivo perché le aziende che scelgono, per far quadrare i conti, di operare con provviste e lavoro nero, di fatto aiutano direttamente o indirettamente la contraffazione» ha spiegato a sua volta Carlo Guglielmi, che guida il Comitato confindustriale per la tutela della proprietà individuale.

IL CASO PRATO - Naturalmente la contraffazione non ha nulla a che vedere con la scelta delle aziende di andare a produrre all’estero.
Invece la delocalizzazione a Prato è diventato anche un fatto politico.
Il sindaco della città, Roberto Cenni, che nell’ultima tornata elettorale era riuscito nell’impresa epica di sconfiggere la sinistra, da sempre egemone in questa zona, grazie anche ad una martellante campagna anticinese, ha ceduto ai richiami della Grande Muraglia ed è andato a produrre parte dei prodotti della sua azienda, la Sacsch, nella fabbriche all’ombra di Pechino.

«Impossibile produrre in Italia, i costi sono troppo elevati. Non si reggerebbe il confronto con ditte come Zara e H&M», si è giustificato un dirigente della Sachs.
Il sindaco di Prato invece è stato più sintetico:»La mia non è delocalizzazione, ma globalizzazione», ha spiegato Roberto Cenni ai suoi contestatori.