28 aprile 2024
Aggiornato 00:30
Tessile - Moda

Sciopero Bangladesh, anche il tessile italiano compra nel paese

Da Coin/Oviesse a Benetton: «nessun ritardo nelle forniture». I lavoratori chiedono aumenti salariali e rapporti di lavoro più umani

MILANO - Tempi duri in Bangladesh. Il paese conosciuto come il «magliettificio» del mondo per l'enorme quantità di prodotti di abbigliamento che vengono realizzati in loco grazie alla manodopera a basso costo, è da giorni stretto nella morsa di massicci scioperi degli operai del tessile che chiedono aumenti salariali e rapporti di lavoro più umani. Manifestazioni sfociate, soprattutto nella capitale Dacca, in scontri diretti con le forze dell'ordine con decine di feriti e numerose fabbriche chiuse per il timore di attacchi.

Nonostante la criticità della situazione, i gruppi italiani che acquistano prodotti realizzati in Bangladesh come Benetton, Coin-Oviesse, che da qualche mese controlla anche Upim, e il gruppo Teddy che distribuisce al dettaglio attraverso marchi come Terranova e Calliope ad oggi non lamentano ritardi nelle forniture o difficoltà negli approvvigionamenti. Anche perchè, spiegano alcuni dei gruppi interpellati, gli acquisti vengono gestiti in modo flessibile e se si verificano problemi in un mercato si punta su altre piazze, come ad esempio quella cinese. E in Bangladesh, purtroppo, situazioni come quella attuale si verificano periodicamente, con conseguenze anche più gravi di quelle registrate fino ad oggi.

Difficile però avere un quadro chiaro di quante aziende italiane acquistino prodotti in Bangladesh perchè spesso lo fanno attraverso società create appositamente o appoggiandosi a prestanome, mentre quasi nessuno produce direttamente. Almeno questo è quanto risulta a Smi, Sistema Moda Italia, secondo cui fra le circa 3.000 imprese iscritte sulle 60.000 del settore, nessuna risulta aver delocalizzato la produzione in Bangladesh. Questo perchè, spiegano sempre dalla Smi la qualità del cotone, prodotto di punta del Bangladesh, è decisamente superiore in Egitto e quindi, tenuto conto anche dell'elevato prezzo del greggio e quindi del trasporto, risulta più conveniente produrre o comprare nello stato africano.

In base a dati Istat elaborati da Smi, nei primi quattro mesi del 2010, le imprese italiane hanno acquistato in Egitto circa 3.800 tonnellate di cotone filato per un controvalore di 15,4 milioni di euro contro le appena 42 tonnellate acquistate in Bangladesh. Diverso il discorso, invece, per i prodotti finiti del tessile-abbigliamento dove il Bangladesh, grazie al basso costo della manodopera, brilla con acquisti, sempre nei primi quattro mesi del 2010, per circa 150 milioni di euro, rispetto agli appena 16,3 milioni di prodotti acquistati in Egitto. E nel 2009 il trend è stato analogo con appena 130 tonnellate di cotone per complessivi 112 mila euro acquistate in Bangladesh, rispetto alle 6.460 tonnellate comprate in Egitto per 25,9 milioni di euro.

Per quanto riguarda l'abbigliamento, invece, nel 2009 in Bangladesh sono stati effettuati acquisti per 386,4 milioni di euro, rispetto ai 45,9 milioni spesi in Egitto. Senza contare che negli ultimi anni spiegano sempre dalla Smi, sempre a causa dell'aumento del costo del trasporto, si è assistito a un processo definito di «rilocalizzazione di prossimità», cioè le aziende tendono a spostare la produzione o effettuare acquisti in paesi vicini, in particolare dell'Europa dell'Est come Slovacchia, Romania o Bulgaria.

Complessivamente in Bangladesh nel settore tessile moda che genera 12 miliardi di dollari di export l'anno, pari all'80% del Pil, verso Usa e Europa, operano oltre 4.000 imprese con due milioni circa di operai, il 90% donne, che lavorano 7 giorni la settimana a ritmi insostenibili, con paghe da fame (circa 34 euro al mese) e senza nessuna tutela per la salute e la sicurezza. Fra i clienti principali dei prodotti realizzati in Bangladesh, figurano molti grandi gruppo della moda e della grande distribuzione mondiali come Wal-Mart, Tesco, H&M, Zara, Carrefour, Gap, Metro, JCPenney, Marks&Spencer, Kohl's, Levi Strauss e Tommy Hilifiger.