29 marzo 2024
Aggiornato 05:30
Il canone RAI aumenta di 1,50 euro

L'aumento del canone Rai

Il Ministro Scaloja ha giustificato l'aumento del canone Rai con il «rilevante deficit risultante dalla contabilità separata»

Il Ministro Scaloja ha giustificato l'aumento del canone Rai con il «rilevante deficit risultante dalla contabilità separata».
In realtà, dall'ultima relazione della Corte dei Conti «sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della RAI-Radiotelevisione italiana S.p.A., per gli esercizi dal 2002 al 2007», emergerebbe che i ricavi della pubblicità inserita nelle trasmissioni di servizio pubblico, coprirebbero (insieme agli introiti del canone) ampiamente i costi delle stesse.

Tuttavia, lo «schema» di separazione contabile adottato, prevede che agli aggregati «editoriali» venga attribuita la somma rinveniente dalla rispettiva pubblicità specifica. Tale risultato è ottenuto accreditando all’aggregato B (commerciale) l’intero ricavo pubblicitario (1.136 milioni per il 2007 ndr) e stornando poi da tale aggregato la quota ritenuta di pertinenza (circa 550 milioni ndr) dell’aggregato A (servizio pubblico). Successivamente, in virtù della deliberazione dell’AGCOM sulla contabilità separata, si è innestato nello schema il congegno tecnico-giuridico rappresentato dal vincolo di «affollamento pubblicitario», che ha lo scopo di attribuire alla gestione rientrante nell'aggregato B (commerciale) una quota figurativa di ricavi pubblicitari allineata ai livelli ottenibili da parte di un operatore privato nazionale. Tale quota figurativa viene stornata dall’aggregato A (servizio pubblico) ed accreditata all’aggregato B (commerciale).

Tale quota viene determinata valorizzando il potenziale aggiuntivo di affollamento che la RAI potrebbe sfruttare qualora il palinsesto commerciale fosse sottoposto agli stessi vincoli imposti agli operatori privati.
Per l’esercizio 2007, il ricavo riconosciuto all'aggregato B (commerciale), per vincoli pubblicitari, dovrebbe ammontare a circa 350 milioni di euro.
E' proprio quest'importo - che «figurativamente» viene addebitato all'aggregato A (servizio pubblico) - che determina il deficit del servizio pubblico (ed i conseguenti sistematici aggiornamenti annuali del canone di abbonamento) che, altrimenti (se tutta la pubblicità inserita nelle trasmissioni di servizio pubblico fosse conteggiata nello stesso), sarebbe ampiamente in positivo.
In sostanza, i contribuenti devono sorbirsi programmi di servizio pubblico pieni di pubblicità, ma non possono giovarsi dei relativi apporti economici (che scongiurerebbero aumenti del canone), in quanto parte di questi sono assegnati al servizio commerciale della Rai, a compensazione della «scarsa» pubblicità inserita nei relativi programmi.
Che dire: «C'e' solo da sperare che l'esempio francese - di eliminare progressivamente la pubblicita' dai palinsesti del servizio pubblico- faccia scuola anche da noi«

Remigio del Grosso
Lega Consumatori