19 aprile 2024
Aggiornato 11:00
La tragedia in Ucraina

Chernobyl 30 anni dopo: il ricordo di chi tentò di informare la popolazione

Picchi di radioattività in Alto Friuli (nel Tarvisiano e in Val Resia in particolare). Il racconto di Andrea Wehrenfennig, componente del Comitato sorto in Fvg per sensibilizzare la gente sui pericoli della nube

TRIESTE – Il 26 aprile 1986 è una data rimasta ben impressa nella memoria dei cittadini del Friuli Venezia Giulia. Il giorno in cui l’Europa si risvegliò indifesa contro la minaccia nucleare. La notizia dello scoppio del reattore numero 4 della centrale atomica ucraina fu tenuta nascosta per qualche giorno dall’allora Unione Sovietica, e in Italia se ne cominciò a parlare solo dal 29 aprile. Già il 30 però, la nube radioattiva arrivò sul Nordest. Con la pioggia di quei giorni, il materiale radioattivo si scaricò soprattutto sull’Alto Friuli, e nelle zone al confine con la Slovenia del Tarvisiano (qui la radioattività raggiunse picchi di 100 kBq – kilobecquerel al metro quadrato) e della Val Resia in particolare. A ricordare questi momenti è Andrea Wehrenfennig, componente della segreteria regionale di Legambiente Fvg e presidente del Circolo di Trieste di Legambiente. Nel 1986 Wehrenfennig faceva parte del Comitato sorto in regione per dare informazione ai cittadini sui rischi della contaminazione radioattiva.
«Ho fatto parte del Comitato di informazione attivo a Trieste e in tutta la regione subito dopo il disastro di Chernobyl – racconta Wehrenfennig –. Legambiente ancora non esisteva, in Fvg c’era solo il Wwf. Dopo l’esplosione del reattore ricordo che Regione e Azienda sanitaria cercarono di minimizzare l’accaduto, non dando molte indicazioni alla popolazione. Per questo si formò un gruppo di lavoro costituito da medici e ambientalisti che cercò di fare innanzitutto informazione».

Medici e ambientalisti in campo a difesa della salute
Utilizzando i dati raccolti dal laboratorio fitosanitario attivo in quegli anni a Trieste, Wehrenfennig e gli altri del Comitato raccoglievano campioni sul territorio a seconda di dove avesse piovuto, pubblicando i dati e diffondendoli tra la gente. «Mentre la politica tendeva  a sminuire il pericolo – aggiunge l’ambientalista – noi davamo dati precisi sulla contaminazione radioattiva (Cesio e Iodio) del suolo in Friuli Venezia Giulia, redigendo anche cartine con le zone più esposte».
Il gruppo aveva il suo quartier generale al Burlo e batteva a macchina i risultati delle sue ricerche prima di distribuirli. «Portavamo in giro ciclostilati con indicazioni sugli alimenti e grado di contaminazione dei diversi territori. Le aree più colpite, a causa delle piogge di quei giorni, furono le zone montane attorno alla Val Resia e al Tarvisiano: selvaggina, funghi, piante. Tutto venne contaminato dalla nube radioattiva». Oggi i controlli nelle centrali nucleari, grazie alla tecnologia, sono aumentati. Il rischio, però, per Wehrenfennig, è che, soprattutto in certi Paesi, ci possa ancora essere la tendenza a nascondere eventuali incidenti o problemi. «Nel 1986, contro quell’enorme massa di materiale radioattivo, ci si poteva difendere ben poco. Però, avendolo saputo qualche giorno prima dell’arrivo della nube, avremmo potuto informare la popolazione su come difendersi».

Il nodo Krsko
Un tema, quello del nucleare, che se in Italia non è più presente dopo il referendum del 1987, per il Fvg è comunque ‘di casa’, vista la vicinanza con la centrale slovena di Krsko. «Servirebbe una maggiore attenzione su questo sito – assicura Wehrenfennig – il nostro governo non è abbastanza attento. L’area su cui sorge la centrale è una zona altamente sismica e per certe questioni, le precauzioni, non sono mai troppe».