5 maggio 2024
Aggiornato 20:30
Arte

Mirò colora la città, viaggio all'interno della mostra più importante dell'inverno torinese

Spinti dal desiderio di farci guidare alla scoperta della mostra "Mirò, sogno e colore" ci siamo rivolti a un'esperta di storia dell'arte. Abbiamo posto ad Aurora Bolandin, curatrice e collaboratrice della manifestazione d'arte contemporanea Paratissima, alcune domande sull'esposizione di Palazzo Chiablese

TORINO - Ammettiamolo, orientarsi tra correnti artistiche, avanguardie e simbolismi è tutt'altro che semplice. Eppure la curiosità è tanta e la città di Torino offre spesso occasioni uniche per ammirare le più belle opere della storia umana, proprio a due passi da casa. La mostra d'arte inaugurata a Palazzo Chiablese "Mirò, sogno e colore" ne è un esempio lampante. Spinti dal desiderio di capire meglio di cosa si tratti ci siamo rivolti a un esperto, meglio, un'esperta di storia dell'arte. Abbiamo posto ad Aurora Bolandin, curatrice d’arte e collaboratrice della manifestazione torinese Paratissima, alcune domande sulla mostra, di modo da farci guidare alla scoperta dell'universo pittorico del famoso artista catalano, all'interno di quella che ci è parsa l'esposizione più importante dell'inverno torinese.

Innanzitutto può spiegarci, per chi non lo sapesse, chi era Joan Mirò e perchè è così importante nel panorama artistico Novecentesco?
Miró attraversa il 900, un secolo ricco di cambiamenti a livello sia storico che artistico, lasciando un segno indelebile. Nato a Barcellona, non si è mai fermato entro i confini spagnoli e già nel corso della sua vita è riuscito a ottenere una fama incredibile che lo ha consacrato, certo come uno dei pittori surrealisti più importanti di tutti i tempi, ma soprattutto come un artista internazionale che ha saputo coniugare le esperienze artistiche più diverse, dal modernismo di Gaudì al linguaggio giapponese, dall’arte rupestre alle esperienze oltreoceano dei pittori dell’espressionismo astratto.

André Breton, principale teorico del movimento, lo definì «il più surrealista di noi tutti». Cosa vuol dire? È d'accordo?
Non credo che esistano dei gradi di surrealismo, ma di sicuro Mirò incarna molte delle caratteristiche del movimento e forse va anche oltre. Non solo fa sì che il suo inconscio prevalga nella descrizione della realtà, ma è come se ne creasse un'alternativa. Mirò esce letteralmente dalla tela dipinta e in alcuni casi riesce a far combaciare la ricerca surrealista in campo poetico e artistico creando un testo visivo.

La mostra è dedicata a un periodo particolare della vita dell'artista? Cosa è cambiato rispetto al passato?
La mostra ha deciso di mettere in evidenza gli ultimi trent’anni della vita dell’artista; Mirò, dopo aver vissuto a Barcellona e Parigi e aver viaggiato molto, decise di ritirarsi sull’isola di Maiorca e qui mettere in discussione sè stesso e la sua arte, approdando a soluzioni nuove e trasgressive: una rivoluzione che pervade la sua tecnica e i suoi soggetti. È in questo periodo che sperimentò in campo scultoreo, grafico e pittorico giungendo a quello che poi sarà un linguaggio unico e di libera espressività.

Come è diviso l'allestimento della mostra di palazzo Chiablese?
Il visitatore viene guidato all’interno della progressiva ricerca di Mirò: il suo viaggio introspettivo inizia con l’arrivo sull’isola di Maiorca, dove indaga il forte legame con la terra in cui si trova e riflette sulle sue esperienze pregresse. La visita procede con l’evoluzione del linguaggio del pittore che si concretizza in pagine illustrate e poesie visive. È poi la volta di entrare fisicamente nello studio di Mirò grazie ad una riproduzione fedele di quella che fu per lui la realizzazione di un sogno. Infine si approda alla metamorfosi finale in cui il mondo dell’artista esplode, rivelando tutti i suoi colori e simboli.

Quali sono, ammesso che vi siano, i simboli ricorrenti all'interno del percorso espositivo?
I simboli più evidenti si concentrano soprattutto nelle ultime sale del percorso espositivo; dopo aver definito il suo linguaggio artistico, Mirò elabora un suo cosmo privato fatto di figure antropomorfe dalle linee distorte, uccelli che simbolizzano l’armonia e la libertà e soprattutto stelle e corpi celesti a cui l’artista volge il suo ultimo sguardo. 

Se dovesse descrivere le pennellate di Mirò a un bambino che si trova per la prima volta di fronte a un suo dipinto, cosa gli direbbe?
Gli chiederei di immaginare la gioia che proverebbe se i suoi genitori gli permettessero di immergere le mani nel colore e dipingere una tela distesa nel proprio salotto. Se riuscisse a trattenere quell’emozione, sicuramente capirebbe l’arte di Mirò meglio di chiunque altro. È il pittore stesso infatti che sostiene che l’arte debba prima «passare da una sensazione fisica per poi raggiungere l’anima».

Qual è, secondo lei, l'opera che meglio riassume la filosofia del pittore spagnolo? Cosa ritiene, in altre parole, assolutamente imperdibile di questa esposizione?
Forse non sarà la più colorata e coinvolgente, ma l’opera Femme dans la rue racchiude alcuni dei caratteri più distintivi dell’artista: la semplicità della forma, la concettualità primitiva, il dominio del nero sugli altri colori e soprattutto la partecipazione fisica di Mirò nel dipinto, evidente dall’impronta della sua mano. Sono dell’idea però che non sia necessario eleggere una sola opera dell’esposizione. Mirò è un universo che parla e vive e che bisogna esplorare per intero.

Nel percorso troviamo anche un video in cui Mirò stesso, in età adulta, si racconta. E' segno di un nuovo approccio degli artisti con il pubblico? 
E' uno dei vantaggi che gli artisti del ‘900 hanno avuto rispetto ai loro predecessori: il fatto che grazie alla rivoluzione digitale hanno potuto trasmettere direttamente i loro pensieri e la loro visione del mondo. È emozionante vedere all’interno di questa mostra il video in cui Mirò oramai anziano racconta le sue opere e il suo modo di fare arte. Certo, avremmo potuto leggerlo sui suoi appunti o nei milioni di libri sull’argomento, ma la sua voce trasmette tutta la passione e la leggerezza che serve per comprendere il suo lavoro.

A chi consiglierebbe di andare a vedere la mostra?
Credo che l’arte di Mirò possa mettere d’accordo grandi e piccoli. Il ritmo dell’esposizione è incalzante e intervallata da «piccoli escamotage interattivi» che strizzano l’occhio anche ai più indecisi. Il mio consiglio è di portarci bambini e bambine: la massima «potevo farlo anche io», è una delle più ripetute davanti ad opere come quelle di Miró e allora perché non spingerli davvero a cimentarsi fin da subito con il mondo dell’arte?