25 aprile 2024
Aggiornato 12:00
I consigli del New York Times al tecnico Klinsmann

«Il team USA deve imparare a giocare sporco»

Il Mondiale è iniziato e con esso polemiche e commenti di addetti ai lavori e tifosi di ogni nazionalità che si atteggiano a commissari tecnici. Negli Stati Uniti però ci si interroga soprattutto in merito alla disonestà (come la definisce senza mezze misure il New York Times) che nelle prime tre giornate ha premiato Brasile e Francia.

NEW YORK - Gol, risultati improbabili, tifosi in delirio, proteste che impazzano in un Paese diviso, e soprattutto simulazioni. Il Mondiale è iniziato e con esso polemiche e commenti di addetti ai lavori e tifosi di ogni nazionalità che si atteggiano a commissari tecnici. Negli Stati Uniti però ci si interroga soprattutto in merito alla disonestà (come la definisce senza mezze misure il New York Times) che nelle prime tre giornate ha premiato in ordine cronologico Brasile (calcio di rigore assegnato per una presunta trattenuta su Fred) e Francia (altro rigore generoso su trattenuta subita da Valbuena).

A tal proposito il New York Times si pone le seguenti domande: i giocatori americani sono pessimi simulatori? E se sì, dovrebbero provare a migliorare?

Il quotidiano americano si chiede perché, se tutte le altre squadre provano a sfruttare ogni trucco per trarne vantaggio, i giocatori americani non facciano lo stesso. Amplificare contatti apparentemente normali facendoli sembrare dei veri e propri attentati alla salute altrui è un'arte che richiede predisposizione e allenamento. Ma essa, sostiene il quotidiano, non fa parte della cultura sportiva degli statunitensi.

I giocatori americani, infatti, hanno più volte ammesso di non essere predisposti a questo tipo di comportamenti e non pensano di cambiare idea proprio ora. Il 27enne centrocampista americano Graham Zusi, come riportato dal Times, si è espresso in merito alle simulazioni definite in gergo tuffi: «È qualcosa che non ha mai fatto parte del mio gioco, e non ho intenzione di cambiare idea a riguardo».

Tab Ramos, ex giocatore della nazionale americana e uno attuali assistenti dell'allenatore del team Usa Jurgen Klinsmann, è sulla stessa lunghezza d'onda: «Assolutamente è qualcosa che noi non facciamo [...] Non so se si possa considerare un problema o una debolezza, ma è chiaro che la natura americana è cercare di fare tutto nel modo giusto, rimanendo onesti allo spirito del gioco. Questo è ciò che gli americani sono». Il portiere della nazionale statunitense Tim Howard la pensa invece in modo diverso: «Non ho alcun problema se i giocatori brasiliani si buttano in area. Incoraggerò i miei compagni a fare lo stesso».

Mentre il Brasile si divide su questo nuovo problema, Klinsmann pensa al torneo smentendo le ultime dichiarazioni in cui definiva «non realistica» la possibilità di una vittoria americana. Il coach statunitense, durante la classica conferenza prepartita di ieri, ha annunciato di avere «un volo prenotato per dopo la finale» smentendo chi pensava che gli Usa si presentassero a questa competizione già sconfitti: «Siamo arrivati con lo stesso impegno, la stessa unità, la stessa energia e l'ambizione di fare bene. E vogliamo fare davvero bene».