20 aprile 2024
Aggiornato 00:30
Sanità

Quando la collaborazione medico-paziente è vitale

Nelle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali

Rapporto medico e paziente
Rapporto medico e paziente Foto: Stokkete | shutterstock.com Shutterstock

ROMA - Può apparire scontato, o forse banale, ma la collaborazione tra medico e paziente è fondamentale. E conta più di quello che si possa pensare. Il coinvolgimento attivo del malato nel processo di cura, aumentando e favorendo l'informazione, genera infatti una migliore gestione della malattia, aumenta l'aderenza ai trattamenti, migliora lo stile di vita del malato e porta una diminuzione dei costi sanitari.

Non ci sono dubbi
Che sia così, non ci sono dubbi. E lo evidenzia maggiormente il progetto 'Amici WE Care', in collaborazione con l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, volto a definire la qualità di cura ricevuta dalle persone affette da Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali. La ricerca guidata da Guendalina Graffigna, coordinatrice del centro ricerche Engageminds Hub dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha messo in risalto la diversa percezione della qualità della vita dei pazienti e come questa migliori con un maggior coinvolgimento attivo del paziente nella cura. La maggioranza dei medici 69% manifesta comunque una sensibilità positiva verso il coinvolgimento del malato, anche se spesso ancora limitato, mentre un 20% ritiene che il ruolo attivo del malato sia solo quello di seguire le indicazioni mediche. Fa però ben sperare ad un cambio di tendenza l'11%, rappresentato da medici con meno 10 anni di esperienza lavorativa, che considera davvero il malato come membro 'attivo' del team di cura.

Più coinvolgimento, più risposta
Secondo le stime, solo il 25% dei malati aderisce in modo corretto alle terapie, ma il grado di adesione del paziente cresce all'aumentare dell'engagement. I risultati indicano chiaramente come Persone con alti livelli di engagement risultino avere una spesa sanitaria diretta (farmaci, viste, esami) inferiore del 20% e hanno un tasso di giorni di assenza dal lavoro per le cure più basso del 25%. La parte finale dello studio mostra come sia diversa la percezione del medico rispetto a quella del paziente. Queste divergenze tra gastroenterologi e pazienti nelle valutazioni di importanza e di soddisfazione riguardo ai criteri di qualità di cura fa sì che il 'decalogo delle priorità' presenti notevoli differenze soprattutto per gli aspetti legati alla personalizzazione delle terapie e alla partecipazione attiva del paziente nelle scelte terapeutiche.

Si riducono anche i costi sanitari
L'altra indagine presentata sul burden economico delle MICI in Italia, condotta in collaborazione con l'Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma ed effettuata su un campione di 2.426 pazienti, ha stimato per la prima volta il costo medio annuo a carico di un paziente affetto da Malattia di Crohn o colite ulcerosa in circa 746 euro mentre, considerando le perdite di produttività generate dall'essere affetto da tale malattia i costi medi raggiungono i 2.258 euro. L'engagement è quindi una priorità etica e pragmatica non solo per i pazienti e le loro famiglie ma anche per il Servizio Sanitario Nazionale.

Prendersi cura anche del benessere lavorativo
«Il progetto We Care, in continuità con le raccomandazioni per il Patient Engagement recentemente elaborate dall'Università Cattolica in collaborazione con Regione Lombardia e sotto la supervisione dell'Istituto Superiore di Sanità – ha spiegato Guendalina Graffigna responsabile scientifica dell'indagine – mette in luce non solo l'importanza del coinvolgimento attivo e dell'engagement dei pazienti nella cura per migliorare gli outcome clinici e la sostenibilità economica dell'intervento medico, ma anche mostra l'importanza di prendersi cura del benessere lavorativo dei clinici stessi e della loro formazione al fine di sostenere il cambiamento culturale in sanità verso la centralità del paziente e dei suoi bisogni».

Malattie globali
«Sono oltre 5 milioni nel mondo le persone affette da Crohn o da colite ulcerosa – ha sottolineato Alessandro Armuzzi della Fondazione Policlinico Gemelli Università Cattolica di Milano e Segretario Generale IGIBD – si parla ormai di 'malattie globali' anche perché sono in aumento non solo nei Paesi sviluppati, ma è stata evidenziata una crescente incidenza di queste malattie nei grossi agglomerati urbani anche dei Paesi in via di sviluppo che fino a venti anni fa erano immuni queste patologie. In Italia si è calcolato che ci siano tra le 150.000 e le 200.000 le persone colpite da patologie croniche invalidanti dell'intestino. Malattie croniche recidivanti che vanno ormai considerate vere e proprie malattie sociali, in quanto compromettono la sfera lavorativa dei pazienti e quella relazionale degli stessi e delle loro famiglie, che devono essere affrontate da un team medico multidisciplinare che sia in grado di mettere al centro il paziente».