Niente più gesso per le fratture, ecco l’esoscheletro personalizzato 3D dai ricercatori Cnr
Sperimentato il ambito pediatrico il primo esoscheletro 3D, per rimpiazzare il gesso negli interventi per le fratture ossee. L’apparato è personalizzato in base al paziente e al tipo di frattura
NAPOLI – Addio al gesso. La soluzione alternativa è l’esoscheletro 3D, sviluppato dagli scienziati degli Istituti di biostrutture e bioimmagini (Ibb-Cnr) e polimeri, compositi e biomateriali (Ipcb-Cnr) con il contributo della Banca d’Italia. Al via le prime sperimentazioni cliniche a Napoli con la Fondazione Santobono Pausilipon e l’Azienda Ospedaliera Santobono Pausilipon.
Per ora, i bambini
La sperimentazione clinica è stata avviata in ambito pediatrico, e prevede l’applicazione dell’esoscheletro in ABS stampato in 3D – un sistema personalizzato che sostituisce il tradizionale ‘gesso’ – su 60 bambini di età compresa tra gli 11 e i 14 anni. I pazienti sono caratterizzati da fratture composte stabili a un braccio, «per le quali attualmente viene effettuato il trattamento con apparecchio gessato tradizionale’».
L’esoscheletro
L’esoscheletro – si legge nel comunicato Cnr – è realizzato in ABS e prodotto con una stampante 3D, avvalendosi di informazioni cliniche e morfologiche raccolte sia attraverso la radiografia sia mediante sistemi di scansione 3D dell’arto fratturato. Questo tutore personalizzato, che è molto più rigido del tradizionale gesso, ha il vantaggio di essere del tutto immergibile in acqua, è leggero, aperto e poco ingombrante. In più è igienico e conforme alle esigenze ergonomiche del bambino.
La tecnologia
La stampa 3D avviene nel laboratorio allestito presso il Santobono. E per realizzare il tutore si avvale di una tecnologia disponibile in commercio. Il software è stato invece adattato in base alle particolari esigenze sanitarie dall’equipe del Cnr afferente agli Istituti di biostrutture e bioimmagini (Ibb) e polimeri, compositi e biomateriali (Ipcb), si sottolinea nel comunicato.
Ostacoli superati
«Fin dal momento dell’avvio della ricerca – spiega Fabrizio Clemente, primo ricercatore dell’Ibb-Cnr e responsabile scientifico delle attività – il team si è reso conto di trovarsi di fronte a uno studio multidisciplinare che presentava non banali ostacoli progettuali e tecnologici. Mettendo in comune competenze d’ingegneria biomedica, dei materiali e delle scienze delle costruzioni presenti all’interno del Cnr – prosegue l’esperto – tali difficoltà sono state egregiamente affrontate e superate e, nello scorso mese di novembre, sono stati realizzati i primi prototipi. Ulteriori difficoltà sono derivate dalla necessità di dover seguire un percorso coerente con le regole della sperimentazione clinica di dispositivi medici – sottolinea Clemente – Per poter procedere, la Fondazione si è accreditata presso il Ministero della Salute quale produttore dei dispositivi, mentre lo studio è stato autorizzato dal Comitato etico seguendo le procedure del Ministero della salute. E’ stato poi allestito un laboratorio integrato con l’attività del reparto di ortopedia per la realizzazione e l’utilizzo clinico di ortosi personalizzate, prodotte sulla base di scansioni 3D eseguite sugli arti dei piccoli pazienti».
Molti gli interventi sulle fratture
«L’ospedale Santobono tratta ogni anno circa 16.000 pazienti con traumi che richiedono un intervento ortopedico – ribadisce Anna Maria Minicucci, direttore generale dell’Aorn Santobono Pausilipon – E’ evidente, quindi quale impatto positivo possa avere l’utilizzo di questa tecnologia sulla qualità della vita dei nostri piccoli pazienti. Per realizzare questo progetto si è attivato un virtuoso modello di collaborazione tra istituzioni: Banca d’Italia, Cnr, Fondazione Santobono Pausilipon e Azienda ospedaliera Santobono Pausilipon. L’obiettivo è ambizioso, se la sperimentazione ci darà i risultati sperati nei reparti ortopedici pediatrici italiani oltre alla sala gessi potremmo avere dei laboratori per la stampa 3D degli esoscheletri».
I primi tre
L’équipe clinica sta al momento monitorando l’applicazione dell’esoscheletro sui primi tre pazienti arruolati per la sperimentazione. La notizia si è presto sparsa e il relativo progetto ha già raccolto l’interesse di altri ospedali pediatrici italiani, i quali hanno evidenziato la volontà di estendere la sperimentazione presso la propria struttura. Lo studio partito da Napoli, potrebbe così diventare multicentrico in tempi brevi.