19 aprile 2024
Aggiornato 10:30
Salute

Pressione alta: una vera e propria epidemia e tassi raddoppiati in 40 anni. Lo studio cui ha partecipato l’ISS

Sempre più persone nel mondo soffrono di pressione alta e ipertensione, tanto che il numero è raddoppiato negli ultimi 40 anni. Mentre nei Paesi industrializzati i tassi scendono, aumentano invece in quelli asiatici e africani. I risultati di uno studio a cui ha partecipato l’Iss

Pressione alta, i tassi nel mondo sono in aumento
Pressione alta, i tassi nel mondo sono in aumento Foto: Shutterstock

ROMA – Sempre più ipertesi o con la pressione arteriosa alta. Questi i risultati evidenziati da uno studio appena pubblicato su The Lancet, in cui emerge che il numero di persone nel mondo con questi problemi è pressoché raddoppiato negli ultimi 40 anni, raggiungendo gli 1,13 miliardi.

Meglio in Occidente
Se le malattie cardiovascolari restano sempre il big killer dei Paesi industrializzati, i tassi d’incidenza sono tuttavia diminuiti – segno che le campagne di sensibilizzazione e i progressi della medicina hanno in qualche modo funzionato. Tuttavia, la stessa cosa non si può dire dei Paesi a medio e basso reddito: in particolare il Sud dell’Asia e l’Africa: qui infatti, i casi di ipertensione sono in costante aumento.

Un largo studio
Quello condotto dai ricercatori dell’Imperial College London, con la partecipazione dell’Istituto Superiore di Sanità, si presenta come la più ampia ricerca del genere. Realizzata attraverso i risultati di 1.479 indagini su popolazioni esaminate di età superiore a 18 anni dal 1975 al 2015, ha coinvolto poco meno di 20 milioni di persone, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e centinaia di scienziati appartenenti a vari enti di ricerca, si legge nel comunicato dell’ISS. Lo studio è stato finanziato da Wellcome Trust.

Le valutazioni
«La pressione arteriosa è stata valutata attraverso la misura di due parametri: la pressione sistolica, ovvero la forza con cui il cuore pompa sangue all’interno dei vasi sanguigni, e la pressione diastolica, che misura la resistenza del flusso di sangue dentro questi vasi – spiegano dall’ISS – Entrambi i parametri sono misurati in millimetri di mercurio (mmHg). La pressione alta, 140/90 mmHg o più, sottopone a sforzo e tensione i vasi sanguigni, ma anche cuore, cervello e reni, attestandosi come la prima causa nel mondo di malattie cardiovascolari, che possono condurre a infarto e ictus, e che provocano la morte di 7,5 milioni di persone in tutto il pianeta ogni anno».

I risultati
I risultati della ricerca mostra diverse differenze nei tassi di incidenza della pressione alta nei diversi Paesi. Per esempio, nel 2015 era il Regno Unito il Paese europeo con la proporzione più bassa di pazienti affetti da pressione alta: 18% degli uomini e 12% delle donne. A differenza, in Croazia si registrava la proporzione più elevata, con il 38% di uomini ipertesi. Nel mondo, invece, il primato della proporzione più bassa va alla Corea del Sud, seguita da Stati Uniti, Canada, Perù e Singapore. La metà degli ipertesi invece vive in Asia, con circa 226 milioni in Cina, 200 milioni in India e 235 milioni nell’Est asiatico. A livello globale, gli uomini sono quelli più ipertesi rispetto alle donne, con rispettivamente 597 milioni contro 529 milioni.

Non più ‘sinonimo’ di benessere
L’ipertensione e la pressione alta in passato è sempre stata associata a uno stile di vita ‘agiato’. Non a caso era più diffusa nei Paesi ricchi. Ma le cose sono cambiate. «Ciò che sorprende – ha commentato Majid Ezzati, coordinatore dello studio presso la School of Public Health dell’Imperial College di Londra – è che la pressione alta sembra essere meno associata a condizioni di benessere, come invece avveniva un tempo, mentre è più diffusa in condizioni di povertà. Nei Paesi ricchi – prosegue l’esperto – i valori medi più bassi di pressione arteriosa sarebbero dovuti al maggior consumo di frutta e verdura e al ricorso precoce alle terapie. Al contrario, nei Paesi poveri, una alimentazione scorretta, poco salutare, ricca di calorie, grassi saturi di origine animale, di colesterolo e di sale e povera di frutta e verdura, fin dall’infanzia, incrementerebbe nel corso della vita il rischio di aumento della pressione arteriosa».

Ancora il sale sotto accusa
«Troppo sale nell’alimentazione – sottolinea Simona Giampaoli, coordinatrice dello studio per l’ISS – consumo troppo scarso di verdura e frutta, abitudine al fumo, unitamente alla sedentarietà e all’innalzamento dell’età media della popolazione, sono alla base dell’aumento della pressione arteriosa. E’ necessario adottare politiche sanitarie che migliorino lo stile di vita della popolazione generale (interventi nei trasporti pubblici e nella pianificazione ambientale volti a favorire l’attività fisica, interventi nell’industria alimentare per la riduzione del sale nei cibi preconfezionati, politiche sociali che aumentino la consapevolezza dell’importanza della prevenzione attraverso l’alimentazione sana, l’abolizione del fumo, la moderazione nel consumo di alcool e lo svolgimento di un’attività fisica regolare). Inoltre – aggiunge la ricercatrice – è necessario un sistema sanitario che identifichi efficacemente i soggetti con pressione elevata e assicuri l’accesso agli interventi di prevenzione e di cura; solo in questo modo sarà possibile raggiungere gli obiettivi raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (riduzione del 25% della prevalenza dell’ipertensione arteriosa)».

La situazione in Italia
Ma qual è la situazione in Italia? Secondo quanto emerso nel confronto tra le due indagini dell’Osservatorio Epidemiologico Cardiovascolare/Health Examination Survey (1998-02 e 2008-12), nel decennio esaminato, nella popolazione di età compresa tra i 35 e i 74 anni il valore medio della pressione arteriosa sistolica è sceso in entrambi i generi, passando da 135 a 132 mmHg negli uomini e da 132 a 127 mmHg nelle donne. A differenza, quello della diastolica è sceso solo nelle donne: da 82 a 79 mmHg. «Lo stato del controllo dell’ipertensione è migliorato in entrambi i generi sessuali anche se la situazione rimane migliore nelle donne tra le quali i soggetti adeguatamente trattati sono passati dall’11,5% al 26% del totale delle ipertese mentre negli uomini la variazione registrata per la stessa categoria è stata dal 7,3% al 15,5%», conclude il comunicato dell’ISS.